Resta in carcere Ivanhoe Schiavone, figlio di Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi noto come “Sandokan”, detenuto da oltre 27 anni in regime di 41-bis. Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa a metà luglio dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, respingendo l’istanza di scarcerazione presentata dall’avvocato Pasquale Diana.
L’inchiesta, coordinata dai magistrati antimafia Nicola Gratteri e Michele Del Prete, e condotta dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta, ha portato all’arresto di Schiavone Jr e di un presunto complice, Pasquale Corvino, residente a Fondi (Latina). Entrambi sono accusati di riciclaggio, autoriciclaggio ed estorsione aggravata dall’agevolazione e dal metodo mafioso.
Il business dei terreni – Al centro dell’indagine ci sono due appezzamenti di terreno di 13 ettari, del valore complessivo di circa 500mila euro, situati a Grazzanise, nei pressi dell’aeroporto militare e non lontano dall’azienda agricola appartenuta allo stesso Sandokan. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, quei fondi sarebbero stati intestati fittiziamente a prestanome per sottrarli ai sequestri patrimoniali. Dopo la morte dell’intestatario formale, i beni sarebbero finiti nella disponibilità dei figli, che li avevano dati in affitto a un imprenditore agricolo. Proprio quest’ultimo, nel 2019, denunciò alla polizia giudiziaria un tentativo di pressione subito da Ivanhoe Schiavone e dal suo presunto complice, che avrebbero cercato di convincerlo a rescindere il contratto e a rinunciare al diritto di prelazione sulla vendita. L’uomo rifiutò un’offerta di 500mila euro, giudicata troppo alta, ma spiegò di essersi sentito turbato dalla presenza del figlio del boss, temendo che dietro quella visita si celasse un’intimidazione.
Le dichiarazioni e la difesa – In sede di interrogatorio, Ivanhoe Schiavone ha cercato di ridimensionare l’accaduto, parlando di un terreno storicamente appartenuto alla famiglia. «Vivevo da solo, in condizioni economiche difficili – aveva dichiarato – avevo bisogno di soldi per tirare avanti. Sapevo che quel terreno apparteneva storicamente alla nostra famiglia, anche se formalmente era ancora intestato a Corvino. Così ho fatto valutare il fondo da un tecnico e ho deciso di venderlo». Ma per la Procura antimafia quella vendita non fu frutto di una libera trattativa: secondo gli inquirenti si trattò di una manovra per immettere nel circuito legale proventi di provenienza illecita, ostacolando l’identificazione della loro origine. L’imposizione all’affittuario – pur in assenza di minacce esplicite – sarebbe stata percepita come una vera e propria estorsione, messa in atto con il peso del cognome Schiavone.
Il sequestro dei beni – Al momento dell’arresto, eseguito dai carabinieri tra le province di Caserta e Latina, i due fondi agricoli sono stati posti sotto sequestro preventivo. L’intervento rientra in un più ampio quadro di indagini sulle attività di reinvestimento del denaro illecito da parte delle nuove leve della criminalità organizzata casertana.