Si è trasformato in una trappola mortale l’appartamento dove viveva Sueli Leal Barbosa, 48 anni, operatrice socio-sanitaria all’Istituto dei Tumori. Quando, nella notte tra il 4 e il 5 giugno, le fiamme hanno invaso le stanze, l’unica via di fuga è stata la finestra del quarto piano dell’abitazione, in un condominio di viale Abruzzi, a Milano. Un salto disperato che non le ha lasciato scampo. Ora il compagno, Michael Sinval Pereira, 45 anni, è accusato di averle tolto ogni altra possibilità: fermato con le gravissime accuse di omicidio volontario aggravato e incendio doloso.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Milano, Pereira avrebbe innescato volontariamente il rogo, lasciando l’unica chiave della porta d’ingresso all’esterno. E mentre l’incendio avvolgeva la casa, lui si trovava in un bar poco distante, a bere una birra. Nel decreto di fermo firmato dalla sostituta procuratrice Maura Ripamonti, si legge che l’uomo non ha “manifestato alcuna forma di dolore o ancor meno resipiscenza” e avrebbe modificato “mano a mano la sua versione” con “menzogne”: sull’orario di uscita dall’abitazione, sull’assenza di liti, sulla possibile causa accidentale del rogo – come un presunto malfunzionamento della caldaia poi risultato infondato. Le telecamere di videosorveglianza hanno ripreso il 45enne mentre usciva dal condominio pochi minuti prima che divampassero le fiamme. Alcuni condomini, inoltre, avrebbero udito urla e rumori di una lite provenienti dall’appartamento.
Pereira, di professione imbianchino, era legato da circa tre anni a Barbosa. Una relazione che, secondo quanto riferito da alcune amiche della vittima, era segnata da comportamenti possessivi e scatti di violenza. A marzo dello scorso anno, Barbosa aveva già chiesto l’intervento della polizia per una lite domestica. Nel lungo interrogatorio davanti alla pm Ripamonti e agli agenti della Squadra Mobile, Pereira ha inizialmente negato ogni responsabilità. Poi ha fornito una versione che gli inquirenti giudicano poco credibile: “Io e Sueli abbiamo discusso, lei era arrabbiata perché non andavo a letto e stavo bevendo. Mi sono innervosito, ho fumato una sigaretta e prima di uscire l’ho gettata su un tappeto. Non pensavo di causare un incendio. Lei era maniaca della pulizia e usava alcol e ammoniaca per pulire”.
Una spiegazione che, secondo la Procura, non regge. I vigili del fuoco del Nucleo investigativo antincendio (Nia) hanno rilevato la presenza di sostanze acceleranti in due punti precisi dell’appartamento: vicino all’ingresso e nella camera da letto. Il tipo di incendio – classificato come “flashover”, ovvero una combustione improvvisa e totalizzante – non è compatibile con l’accensione accidentale descritta dall’indagato. Barbosa è stata trovata agonizzante sul selciato. I soccorritori l’hanno trasportata in ospedale, dove è morta poco dopo. Pereira è stato individuato in un bar della zona e condotto in Questura, dove è rimasto per l’intera giornata del 5 giugno, fino alla notifica del provvedimento di fermo.
Il procedimento, coordinato dalla Procura guidata da Marcello Viola, ha raccolto una serie di elementi ritenuti coerenti e gravi: oltre alle contraddizioni di Pereira, alle testimonianze dei vicini e alle immagini delle telecamere, c’è anche la chiave dell’appartamento trovata all’esterno e il comportamento dell’indagato durante l’interrogatorio, definito “freddo” e “del tutto privo di empatia”.