Un’inchiesta scottante ha investito l’Azienda Usl di Piacenza, dove un medico primario dell’Ospedale Civile, direttore di una Struttura complessa, è finito agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale aggravata e atti persecutori nei confronti di dottoresse e infermiere. L’arresto, avvenuto mercoledì 7 maggio, è stato eseguito dalla Squadra mobile su disposizione della Procura della Repubblica, in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari.
Contemporaneamente, gli agenti hanno effettuato perquisizioni all’interno dello studio del medico, situato nel reparto ospedaliero da lui diretto, e nella sua abitazione, alla ricerca di ulteriori riscontri investigativi. Un’operazione che ha scoperchiato quello che la questura definisce “un quadro inquietante”.
Un sistema di abusi seriali, documentato con video e intercettazioni ambientali nell’arco di soli 45 giorni di monitoraggio, ha permesso di ricostruire 32 episodi: rapporti sessuali, anche completi, consumati spesso in orario di servizio, in un contesto di potere abusato e silenzi imposti. Secondo la Polizia, “il primario compiva atti sessuali con quasi tutte le donne che varcavano da sole la porta del suo ufficio”.
L’indagine ha preso il via grazie alla denuncia di una giovane dottoressa, la cui testimonianza ha dato impulso all’intera ricostruzione investigativa. La donna ha raccontato di essere stata chiusa a chiave nello studio, aggredita fisicamente durante un colloquio per la gestione delle ferie e costretta a subire violenza sessuale, interrotta solo dall’ingresso improvviso di un collega.
Le vittime individuate sarebbero diverse, e in almeno due casi il comportamento del medico avrebbe assunto la forma di stalking, con pressioni e molestie reiterate. In corsia, l’ambiente era descritto come “omertoso e complice”: molte colleghe, pur consapevoli degli abusi, hanno preferito tacere per timore di ritorsioni lavorative o personali. Alcune di loro, convocate in questura, hanno inizialmente sporto denuncia per poi ritirarla il giorno successivo.
Dai verbali raccolti emerge la figura di un uomo che si muoveva con senso di impunità. Non solo esercitava il suo ruolo con autorità incontrastata, ma si vantava apertamente delle sue “conquiste”, ricevendo anche complicità verbali da parte di alcuni colleghi. La gestione del reparto, in questo clima tossico, si sarebbe rivelata dannosa per le pazienti, a causa del costante disagio psicologico e della tensione vissuta dalle professioniste coinvolte.
Un comportamento predatorio, secondo gli investigatori, che ha trasformato il reparto in uno scenario di paura e soggezione, dove il potere gerarchico veniva usato come arma per piegare il consenso.
Le indagini proseguono, con l’obiettivo di accertare quante siano effettivamente le vittime e se ci siano stati episodi rimasti fuori dalla documentazione raccolta. Nel frattempo, la notizia ha sollevato uno scandalo profondo all’interno della sanità piacentina, chiamata ora a fare i conti con un sistema che per troppo tempo ha scelto il silenzio.