Un nuovo attacco aereo israeliano ha colpito una scuola che offriva rifugio a sfollati nel nord della Striscia di Gaza, provocando la morte di 15 persone. Lo ha reso noto la Protezione civile dell’enclave palestinese, controllata da Hamas. Secondo il portavoce Mahmoud Bassal, le squadre di soccorso hanno recuperato anche dieci feriti dalle macerie della scuola di al-Karama, situata nella zona orientale di Gaza City.
La notizia giunge mentre si aggiorna il bilancio delle vittime di un precedente bombardamento israeliano su un altro edificio scolastico, all’interno del campo profughi di Bureij, nel centro della Striscia: 31 morti e decine di feriti. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito in quell’occasione un centro operativo utilizzato da miliziani islamisti per lo stoccaggio di armi.
Nel frattempo, il conflitto ha allargato il proprio raggio d’azione ben oltre i confini di Gaza. In Yemen, l’aeroporto internazionale di Sana’a ha sospeso tutti i voli a causa dei “danni significativi” subiti in seguito a un raid israeliano. Lo ha comunicato il direttore dello scalo. Anche in Libano, a Sidone, si registra una nuova vittima: un drone israeliano ha colpito un’automobile nei pressi della moschea Imam Ali, uccidendo una persona. L’attacco è avvenuto nonostante il cessate il fuoco in vigore tra Israele e Hezbollah.
Sul fronte diplomatico, si intensificano i contatti tra Stati Uniti e Israele per la definizione del possibile assetto politico postbellico della Striscia. Al vaglio delle due amministrazioni, secondo quanto trapela da fonti ufficiali, ci sarebbe la creazione di un governo di transizione, guidato da un funzionario statunitense, che possa garantire la stabilizzazione e la smilitarizzazione del territorio prima dell’eventuale insediamento di un nuovo esecutivo palestinese.
A Washington, il vicepresidente J.D. Vance ha rilanciato la necessità di un’intesa con l’Iran, sottolineando che Teheran dovrebbe poter sviluppare energia nucleare a scopi civili, ma non accedere all’arma atomica. Vance si è detto ottimista sulla possibilità di un reintegro dell’Iran nel circuito economico globale.
Intanto, si riapre anche il nodo ostaggi. Il portavoce del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Gal Hirsch, ha precisato che la lista ufficiale delle persone ancora in vita nelle mani di Hamas conta 24 nomi. In tutto, secondo Israele, sono 59 gli ostaggi: 24 vivi e 35 di cui è stata confermata la morte. Il chiarimento arriva dopo che il presidente americano Donald Trump aveva parlato pubblicamente di soli 21 ostaggi sopravvissuti. “È una situazione terribile. Stiamo cercando di farli uscire. Molti sono già stati liberati”, ha dichiarato Trump, confermando il decesso di altri tre prigionieri.
Le parole del presidente americano giungono all’indomani di un annuncio significativo: Stati Uniti e miliziani Houthi avrebbero raggiunto un accordo per un cessate il fuoco. Una tregua che, tuttavia, appare fragile in un contesto regionale sempre più infiammato.
Ad aumentare l’allarme internazionale è anche l’intervento dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Volker Turk, che ha espresso seria preoccupazione per il nuovo piano israeliano volto alla conquista della Striscia. Turk ha denunciato i trasferimenti forzati di popolazione verso sud e le minacce di espulsione rivolte ai palestinesi, che – secondo l’Onu – mettono a rischio la possibilità stessa per questo popolo di continuare a esistere nel proprio territorio.