Uso illecito dei droni, minaccia per la sicurezza. Vertucci: “Nuove necessità specializzazione Polizia Penitenziaria”

di Redazione

«L’interesse crescente all’utilizzo dei sistemi aeromobili a pilotaggio remoto (Sapr), comunemente detti “droni”, in ambito civile e nelle missioni di sicurezza pubblica si è registrato in modo più marcato in tempi relativamente più recenti, grazie all’evoluzione ed ai progressi raggiunti in campo tecnologico che hanno condotto ad un continuo miglioramento delle caratteristiche tecniche e delle capacità operative di tali mezzi». Lo sostiene Ferdinando Vertucci, ispettore di Polizia Penitenziaria, da tempo appassionato ed autodidatta nel settore U.a.s. (“Unmanned Aircraft System”), dei quali è abilitato come pilota ed istruttore, impegnato da diversi anni a sensibilizzare le pertinenti istituzioni, promuovendo un progetto di specializzazione per il Corpo di Polizia Penitenziaria, avente come obiettivo la costituzione di Nuclei Sapr per la sorveglianza aerea degli istituti penitenziari, nonché per i diversi compiti ai quali sono demandati gli operatori del settore, quali attività di polizia giudiziaria, compiti di polizia stradale, bonifica di territori ed in tutte quelle operazioni specializzate inerenti la gestione delle calamità naturali ed attività di ricerca e soccorso, in collaborazione con le altre forze di polizia. – continua sotto –

«La realtà del mondo penitenziario – spiega Vertucci – è per lo più sconosciuta, ma è bene affermare che la sicurezza penitenziaria può essere considerata una porzione di sicurezza pubblica ed il mantenimento dell’ordine e della disciplina negli istituti penitenziari è parte del processo di mantenimento dell’ordine pubblico. Garanzia dell’ordine, applicazione delle leggi, protezione della vita e della proprietà dei cittadini, essenziali al funzionamento di ogni società, sono pertanto i compiti tradizionalmente affidati ai Corpi di Polizia, e quindi anche alla Polizia Penitenziaria».

Alla luce di questa premessa, per l’ispettore è doveroso sottolineare che «quando si parla di attacchi alla sicurezza penitenziaria – dovuti all’utilizzo illecito di droni da parte dei malintenzionati, finalizzato all’introduzione, negli istituti penitenziari, di sostanze stupefacenti, telefoni cellulari, armi, e di qualsiasi altro oggetto non consentito dalla vigente normativa, mettendo con tali azioni in serio pericolo non solo la sicurezza in generale, ma anche e soprattutto l’incolumità personale di tutti i soggetti che, con funzioni e ruoli diversi, contribuiscono a garantire il regolare svolgimento della vita di una “società nella società” – di conseguenza ne risentono l’ordine e la sicurezza pubblica di tutta la società civile, e quindi, di tutti i cittadini».

Il potenziale utilizzo dei droni per le finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, ad integrazione dei già collaudati strumenti di controllo del territorio, al fine di implementare l’efficacia della strategia di prevenzione e repressione di attività illecite, è stato posto in evidenza già da qualche anno dai vertici della forze di polizia. La Polizia di Stato, in primis, si è posta l’obiettivo di controllare dall’alto, mediante aeromobili a pilotaggio remoto, ad integrazione dei normali strumenti operativi impiegati per finalità di controllo del territorio e di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, tutti quegli eventi di particolare importanza e che necessitano di maggiore attenzione. – continua sotto –

Oltre a ciò, l’obiettivo appare anche quello di disporre di strumenti tecnologici dotati di intelligenza artificiale che possano indubbiamente risultare molto utili in una miriade di contesti interessati dalle finalità istituzionali della Polizia di Stato e delle forze di polizia in generale, quali la lotta al terrorismo, anche internazionale, il supporto nell’ambito di operazioni ad alto impatto criminale, la polizia stradale, ferroviaria, di frontiera, senza dimenticare, naturalmente, i benefici in termini di persistenza, spendibilità e flessibilità operativa che l’utilizzo dei droni da parte delle forze di polizia può apportare se rapportato agli usuali dispositivi di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica utilizzati.

In questo panorama, una delle esigenze sicuramente più avvertite da chi ha il compito di tutelare la sicurezza pubblica è il contrasto al terrorismo internazionale ed in generale al crimine, soprattutto di tipo transfrontaliero. In relazione a queste finalità di contrasto, ma anche in virtù delle nuove esigenze di sicurezza penitenziaria, l’impiego di Sapr, secondo Vertucci, «può fornire un valido supporto sia in termini di prevenzione che di repressione, svolgendo missioni ai fini di deterrenza nei primi casi, e svolgendo una specifica sorveglianza aerea dei territori negli altri, contribuendo in maniera sostanziale anche ad apportare dei significativi mutamenti nel modus vivendi ed operandi dei criminali e dei movimenti terroristici o estremisti».

L’interesse sull’ambito delle forze di polizia è stato alimentato anche grazie all’istituzione di un tavolo tecnico interforze e interdisciplinare, allo scopo di fornire ogni contributo per la proposta di una disciplina del settore. Le modalità concrete di utilizzo degli aeromobili a pilotaggio remoto in dotazione o in uso alle forze di polizia (di cui all’articolo 16 della Legge numero 121 del 1 aprile 1981), sono disciplinate dal decreto del ministro dell’Interno del 29 aprile 2016, emanato di concerto con i ministri della Difesa e delle Infrastrutture e Trasporti. – continua sotto –

A tal riguardo, evidenzia l’ispettore Vertucci, «è utile sottolineare che una prima previsione di legge ha escluso, di fatto, il Corpo di Polizia Penitenziaria dal novero delle forze di polizia autorizzate all’utilizzo dei cosiddetti “droni” per le finalità istituzionali, e solo successivamente, il nuovo articolo 1-bis del decreto legislativo numero 28 del 30 aprile 2020, introdotto in sede di conversione dalla legge numero 70 del 25 giugno 2020, ha esteso anche alla polizia penitenziaria la possibilità di fare utilizzo dei Sapr, allo scopo di assicurare una più efficace vigilanza sugli istituti penitenziari e garantire la sicurezza all’interno dei medesimi».

Nel merito, precisa rammaricato Vertucci, «dal 2020 ad oggi, nulla più è stato fatto dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) per dare seguito a quanto previsto dalla suddetta legge in favore della Polizia penitenziaria, fornendola di “droni” e di un’adeguata formazione e specializzazione per il loro impiego, nonostante il frequente verificarsi di fatti di cronaca che, negli ultimi anni, hanno visto come attori principali gli oramai famosi droni ed interessato molti istituti penitenziari, situazioni che, nella maggior parte dei casi, si sono concluse con il rinvenimento da parte degli operatori penitenziari di sostanze stupefacenti, micro cellulari ed ultimamente armi, insieme ai droni stessi, precipitati spesso per errore umano sul suolo, internamente alle strutture interessate».

Anche sul versante della necessità di programmare un’adeguata difesa dall’attacco di droni ostili, aspetto ancora non adeguatamente preso in considerazione né dalla normativa europea né da quella nazionale, per Vertucci c’è «l’esigenza di utilizzare tecniche che consentano di giungere alla veloce individuazione di un drone – non rilevabile dai normali radar – che voli in aree cittadine vietate o aree proibite, come gli istituti penitenziari. Il maggiore elemento di complessità è costituito dal fatto che, in siffatti ambienti, non è possibile limitarsi all’ipotesi di mero abbattimento del drone ostile dovendo considerare il rischio di impatto e di esplosione a terra, per cui sono state prese in considerazione soluzioni volte a dispiegare, all’occorrenza, sofisticati dispositivi in grado di individuare, interdire e prendere il controllo di questi insidiosi oggetti, consentendo, al contempo, di localizzare il pilota e di guidare le autovetture delle forze dell’ordine alla sua neutralizzazione, soluzione quest’ultima maggiormente auspicabile per contrastare il fenomeno di utilizzo illecito dei droni in ambito penitenziario. Inoltre, data la enorme varietà di velivoli a pilotaggio remoto presenti sul mercato, soprattutto dal punto di vista delle caratteristiche tecniche, un sistema anti-drone in dotazione alle forze di polizia dovrebbe essere modulare, ovvero basarsi su differenti tecnologie integrate tra di loro, in grado di ridurre la possibilità che il sistema generi falsi obiettivi positivi o negativi».

E’ auspicabile, sottolinea Vertucci, «un intervento decisivo da parte dell’Amministrazione Penitenziaria per rendere, da un lato, sempre più tecnologicamente specializzato il Corpo di Polizia penitenziaria e, d’altro canto, per dotare gli Istituti penitenziari di strumenti di contrasto adeguati per ostacolare l’utilizzo illecito dei droni da parte della criminalità, nonché una più accurata armonizzazione tra le normative di riferimento in materia di tutela dei dati personali e di esercizio dei droni, oltre che una rapida definizione delle “linee guida” in relazione ai velivoli a pilotaggio remoto in uso alle Forze di polizia, da parte del Dipartimento di Pubblica Sicurezza».

Infatti, nonostante alcuni sforzi in tal senso siano stati compiuti dalla normativa emergenziale intesa a fronteggiare la pandemia da Covid-19, «rimane pur sempre inattuato – conclude Vertucci – il dispositivo di cui all’articolo 748 del Codice della Navigazione, nella parte che prevede l’emanazione di regole settoriali da parte delle varie amministrazioni dello Stato, e quindi nel caso specifico dal Dap».

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