Palermo, faida tra clan e sparatoria allo Zen: 4 fermi

di Redazione

Altri quattro fermi per la sparatoria nel quartiere Zen di Palermo che martedì scorso provocò due feriti. Ad eseguirli la polizia, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia. I quattro, – Giovanni Cefali, di 52 anni; Nicolò Cefali, di 24; Vincenzo Maranzano, di 49; Attanasio Fava, di 37 – ai quali viene contestata anche l’aggravante del metodo mafioso, sono accusati di avere fatto parte del commando che fece fuoco contro Giuseppe Colombo e i figli Antonio e Fabrizio, lasciando sul selciato una decina di colpi tra proiettili inesplosi e bossoli. – continua sotto – 

Secondo gli inquirenti, che già all’indomani dell’agguato avevano fermato Letterio e Pietro Maranzano, di 35 e 21 anni, quello fu un vero e proprio agguato mafioso. Il blitz di questa notte ha quindi interrotto “una faida tra esponenti legati ai clan per il controllo dello Zen”. Il commando entrò in azione il 23 marzo in via Filippo Patti, facendo fuoco contro Giuseppe Colombo e i figli Antonino e Fabrizio. Per gli investigatori quello fu “l’ultimo capitolo di vecchi rancori”. La mattina precedente all’agguato, infatti, le vittime avevano avuto una accesa discussione con un gruppo di persone capeggiate dai Maranzano e i Colombo sarebbero divenuti, quindi, bersaglio dell’assalto successivo al quale, secondo la polizia, oltre ai fermati di oggi parteciparono “una decina di complici”. I fermi, con la contestazione del metodo mafioso, sono stati disposti dalla Direzione distrettuale antimafia. Le indagini sono coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Salvatore De Luca. – continua sotto – 

“Una vera e propria ostentazione di potere criminale, da esibire alle vittime prese di mira e magari a tutto il quartiere”. Questo, secondo la questura di Palermo, fu l’agguato scattato il 23 marzo tra le vie del quartiere Zen. I Colombo, vittime dell’agguato, avevano avuto un diverbio la mattina precedente con un altro gruppo di persone capeggiate dai Maranzano, tre dei quali sottoposti a fermo. Il commando entrò in azione con tre auto di grossa cilindrata e un numero ancora imprecisato di moto, scooter e altre auto. Un apparato organizzativo “di impronta paramilitare” che sarebbe stato messo in piedi anche per mandare un messaggio di potenza all’esterno. – continua sotto – 

Il diverbio del 22 marzo, secondo gli inquirenti, fu la causa scatenante dell’agguato descritto come “una vicenda permeata delle logiche tipiche di gestione delle attività criminali facenti capo alle cosche mafiose operanti allo Zen”. Un’azione realizzata con una “platealità para-militare”, portata a termine in pieno giorno e davanti agli occhi dei residenti del quartiere. Il commando “non si è curato – sottolineano ancora dalla questura – di quanti avrebbero potuto finire vittime della sparatoria”. Il contesto in cui maturò l’assalto, quindi, è quello delle “frizioni interne al tessuto delinquenziale locale – ricostruiscono dalla questura – che vengono innescate dall’esuberanza che si registra nel sottobosco criminale del quartiere, capace di alimentate contese e tensioni interne agli apparati della famiglia mafiosa dello Zen”. IN ALTO IL VIDEO

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