Orlando, 50 morti nel locale gay. Isis rivendica: “E’ stato un nostro combattente”

di Redazione

Aspirava a diventare un agente di polizia Omar Mateen, il 29enne autore della più grande strage della storia americana. Lo ha rivelato l’ex moglie del killer che nel club gay Pulse di Orlando, in Florida, ha ucciso 50 persone e ne ha ferite 53. E’ entrato nel locale sparando all’impazzata, ci si è asserragliato trattenendo ostaggi, ci è morto, dopo aver lasciato a terra cinquanta persone, durante un conflitto a fuoco con la polizia.

La donna ha raccontato che Mateen era emotivamente e mentalmente disturbato con un temperamento violento, ma voleva entrare in polizia. Padre di un bambino di tre anni, Omar Mateen lavorava come guardia privata per la sicurezza. Secondo i media americani, era conosciuto dallʼFbi come “persona simpatizzante dell’Isis”.

Sembra che prima di compiere il massacro abbia chiamato il 911, annunciando di aver giurato fedeltà al leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi. Non è chiaro, però, se avesse reali legami con il terrorismo. A questo proposito, l’Fbi ha avviato un’inchiesta, su input del presidente Barack Obama.

Intanto l’Isis ha rivendicato nuovamente il massacro. La sparatoria è opera di un “soldato del Califfato”. Lo Stato islamico lo ha proclamato in un bollettino radio dopo che domenica era apparsa su Amaq, l’agenzia online dell’Isis, una prima rivendicazione attribuita a una “fonte” secondo cui Omar Mateen sarebbe un “combattente” dell’Isis.

E online spunta un video (in alto) nel quale si sentono i colpi sparati all’impazzata all’interno del Pulse: nelle immagini, che durano 9 secondi (ripetuti più volte nel video) si contano ben 24 colpi sparati dal killer all’interno del club gay di Orlando.

“Penso che vedremo salire il bilancio delle vittime”. Lo ha detto il chirurgo Mike Cheatham dell’Orlando Regional Medical Centre, l’ospedale dove sono stati ricoverati molti dei 53 feriti. Il più giovane tra le vittime finora identificate è il 20enne Luis Omar Ocasio-Capo. Il più anziano invece aveva 50 anni e si chiamava Franky Jimmy Dejesus Velazquez.

“Come chiunque nel Paese, sono devastata dai terribili fatti. – scrive Barbara Poma, la proprietaria italo-americana del locale, sul sito del Pulse – Il Pulse, e gli uomini e le donne che vi lavorano, sono stati la mia famiglia per quasi 15 anni. Sin dall’inizio, il Pulse è stato un luogo di amore e accettazione per la comunità Lgbtq. Voglio esprimere la mia profonda tristezza e le mie condoglianze a tutti coloro che hanno perso una persona cara. Sappiate che il mio cordoglio e il mio cuore sono con voi”.

Seddique Mateen, di origini afghane, il padre del killer, dice di non sapere perché Omar, nato a New York, si sia reso responsabile della “tragica” sparatoria. Dopo aver negato il movente religioso e aver affermato che suo figlio era rimasto scosso per aver “visto due gay che si baciavano a Miami” e che spetta a “Dio punire chi è coinvolto nell’omosessualità”, in una dichiarazione diffusa sul web e rivolta agli afghani Seddique dice suo figlio era “un gran bravo ragazzo”.

“Non so cosa abbia provocato tutto questo – afferma, in giacca e cravatta davanti alla bandiera afghana, facendo riferimento al mese sacro di Ramadan iniziato lunedì scorso – Non avevo mai capito avesse tanto odio nel cuore”. E aggiunge: “Sono distrutto dal dolore”. In un’intervista telefonica al Guardian Seddique Mateen ha detto che suo figlio “non aveva mai mostrato segni di instabilità mentale né segnali di legami con gruppi estremisti” e di non sapere se fosse legato all’Is. Omar si sentiva americano, non si riconosceva nelle origini afghane della famiglia. “Era un americano – ha detto – Non un afghano-americano. Era nato negli Usa e non è mai stato in Afghanistan”.

Seddique, capelli scuri e folti baffi, è stato descritto dal Washington Post come un uomo “fortemente schierato a livello politico”, tanto da sostenere anche i Talebani. In un video diffuso nelle ultime ore su Facebook (sulla pagina Provisional Government of Afghanistan – Seddique Mateen) sembra volersi presentare come ‘presidente’ dell’Afghanistan. “Ordino all’esercito, alla polizia e all’intelligence di arrestare immediatamente Karzai e Ashraf Ghani”, afferma con indosso la divisa delle truppe afghane riferendosi all’ex presidente afghano e al presidente, per poi citare altri politici di Kabul, compreso Zalmay Khalilzad, che è stato tra l’altro ambasciatore degli Usa nella capitale afghana.

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