Violenze nel carcere di Santa Maria CV, ispettore imputato: “Ci furono degenerazioni, ma io ho difeso decine di detenuti”

di Redazione

La linea di frattura corre dentro il Reparto Nilo, tra manganelli e caschi arrivati da altri istituti: «Ho visto frizioni, anche degenerazioni, e una confusione totale, cercando di intervenire dove ho avuto la chiara percezione che un detenuto stesse soccombendo». È l’ora degli imputati di peso nel maxiprocesso sulle violenze del 6 aprile 2020 nel carcere casertano di Santa Maria Capua Vetere, quello che porta il nome di Salvatore Mezzarano, allora ispettore al Nilo, finito in cella per oltre quattro mesi e oggi tra i 105 imputati tra agenti penitenziari, funzionari del Dap e medici dell’istituto.

L’esame in aula – In aula Mezzarano risponde al pubblico ministero Alessandro Milita (oggi procuratore aggiunto a Napoli), affiancato dai sostituti della Procura sammaritana Alessandra Pinto e Daniela Pannone, confermando quanto dichiarato nelle indagini preliminari: di aver «colpito sul gluteo un detenuto, mentre per un secondo detenuto ho sbattuto il manganello a terra vicino ai suoi piedi». Poi le scuse: «Mi scuso per ciò che ho fatto, anche con lei dottore, ma erano gesti dissuasivi, che ho fatto anche per una cattiva percezione della situazione. Ma ho difeso decine di persone, posso giurarglielo, i miei gesti non erano tesi a fare male».

Il nodo dei sequestri – Sui bastoni e sugli altri oggetti offensivi sequestrati dopo la perquisizione del 6 aprile, materiale che per la Procura rientrerebbe in un «depistaggio» per giustificare l’operazione straordinaria poi degenerata, l’imputato chiarisce: «Ho firmato il verbale di sequestro, ma bastoni e altri strumenti atti ad offendere non li ho visti». E precisa che gli strumenti sequestrati erano quelli utilizzati la sera del 5 aprile, durante la protesta scattata in alcune sezioni alla notizia della positività al Covid di un detenuto.

Il messaggio della commissaria – In udienza emerge anche un messaggio dell’8 aprile inviato dalla commissaria Anna Rita Costanzo (imputata che nell’udienza del 31 ottobre si è avvalsa della facoltà di non rispondere), nel quale – secondo la ricostruzione – avrebbe chiesto a Mezzarano «di fare cose illecite». Il teste conferma: «Era un messaggio stupido, come mettere l’olio bollente, a cui però non ho dato seguito».

Gli agenti esterni e i dirigenti – Mezzarano ricorda che la perquisizione fu eseguita soprattutto da agenti con caschi e manganelli provenienti da altre carceri campane, in particolare Secondigliano e Avellino, coordinati sul campo dal dirigente Colucci, e che questi avevano «un atteggiamento non buono, autoritario, con propensione a violenza». Quanto alla mancata denuncia delle violenze nelle relazioni successive, spiega: «C’erano i dirigenti, dovevano essere loro a coordinare l’aspetto burocratico. Ho dato per scontato che l’avrebbero fatto».

I 14 episodi a discarico – Nel controesame, i difensori Giuseppe Stellato ed Edoardo Razzino fanno emergere quattordici episodi – “tracciati” dai video interni e dalle dichiarazioni dei reclusi – in cui l’ispettore si sarebbe frapposto per proteggere i detenuti, soprattutto dall’azione degli agenti più violenti, quelli con caschi e manganelli giunti da altri istituti. Una sequenza che la difesa porta a supporto della tesi già scandita dall’imputato: «Ho difeso decine di persone».

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