I telefoni che entrano oltre le sbarre non servivano solo a telefonate di nascosto. È il quadro che emerge dall’operazione condotta dai carabinieri di Avellino e dalla polizia penitenziaria nella casa circondariale del capoluogo irpino, dove diciotto persone sono state perquisite e denunciate per “accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione” all’interno del carcere. In un caso, l’uso dello smartphone sarebbe stato il mezzo per tormentare la vedova di un uomo ucciso, proprio da chi è imputato per quell’omicidio.
Il blitz nel penitenziario – L’intervento è stato eseguito dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Avellino, insieme al personale della polizia penitenziaria della locale casa circondariale e al nucleo investigativo regionale per la Campania. In esecuzione di un decreto di perquisizione locale e personale emesso dalla procura della repubblica presso il tribunale di Avellino, le verifiche hanno riguardato diciotto indagati che sono ancora – o sono stati di recente – detenuti per diverse ipotesi di reato nel penitenziario, a partire da giugno 2024. Le perquisizioni hanno interessato le stanze di reclusione ancora occupate dagli indagati, con l’obiettivo di rintracciare e sequestrare dispositivi elettronici e Sim telefoniche detenuti illecitamente.
L’indagine di sistema sui telefoni in cella – Tutti gli indagati sono gravemente indiziati del reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale). Il provvedimento nasce da un’indagine di sistema avviata dai carabinieri del nucleo investigativo nel febbraio 2025, per contrastare il crescente fenomeno dei telefonini e degli smartphone che entrano in carcere e vengono utilizzati sia per la comunicazione tradizionale sia per navigare sul web e accedere ai social network.
Tabulati, utenze fittizie e “connected cell” – L’inchiesta è partita da singoli episodi emersi in altre investigazioni, ma ha presto disvelato un vero e proprio sistema di “connected cell”. Alla base c’è un’ingente mole di tabulati telefonici e telematici, che ha permesso di individuare numerose utenze ritenute di interesse investigativo, spesso intestate a soggetti inesistenti sul territorio italiano. A quelle acquisizioni sono seguite indagini telematiche mirate e l’analisi del circuito relazionale, che ha consentito di risalire a familiari e amici contattati dai detenuti. Sui profili social di alcuni indagati, alimentati attraverso quegli stessi numeri, sono stati individuati messaggi e immagini ritenuti rilevanti per le indagini.
Dai contatti illeciti agli atti persecutori – Le verifiche hanno dimostrato che l’uso di cellulari e smartphone da parte dei detenuti non si limita a garantire contatti non autorizzati con l’esterno, ma può trasformarsi in uno strumento per commettere ulteriori reati. In questo contesto, a carico di uno degli indagati sono emersi gravi indizi per il reato di atti persecutori, contestato per una serie di condotte moleste e minacciose ai danni di una donna, vedova della vittima dell’omicidio per il quale lo stesso detenuto è attualmente sotto processo. IN ALTO IL VIDEO

