Regionali Campania, Pasquale Giuliano: “Siamo al bivio tra complessità strutturali e l’incognita Fico”

di Redazione

di Pasquale Giuliano (già senatore della Repubblica e sottosegretario di Stato alla Giustizia) – La Campania vive da decenni in un equilibrio fragile, sospesa tra enormi potenzialità e radicate vulnerabilità. È una regione che custodisce energie culturali, produttive e sociali straordinarie, ma che resta intrappolata in un sistema istituzionale spesso appesantito da inerzie amministrative, filiere relazionali opache e un modello politico plasmato dall’emergenza permanente: sanità, rifiuti, trasporti, dissesto idrogeologico, disoccupazione giovanile.

Governare la Campania non significa vincere un’elezione: significa misurarsi con un sistema complesso, dove ogni scelta deve fare i conti con poteri sedimentati, apparati burocratici stratificati – spesso “addomesticati” – e aspettative sociali altissime.

In questo scenario si inserisce la candidatura di Roberto Fico, figura che gode dell’unico riconoscimento legato alla sua esperienza da Presidente della Camera, ma che deve ancora dimostrare di possedere competenze e tenuta politica necessarie a guidare la seconda regione d’Italia, forse la più difficile. Fico, più incline alla rappresentanza che alla gestione, incarna un’idea di politica mite nei toni, quasi sobria nelle forme, centrata – almeno a parole – su moralità pubblica e trasparenza. È il volto di un Movimento che ha costruito parte della propria identità sulla rottura con le logiche tradizionali e con la gestione clientelare del potere. Sulla carta, un valore aggiunto: l’idea che possa finalmente affermarsi un modello amministrativo diverso, meno imbrigliato nelle storiche filiere e più orientato all’interesse generale.

Eppure è proprio questa immagine di “estraneità” ai meccanismi tradizionali della politica campana a generare perplessità. La Campania non ha bisogno di simboli, ma di governo; non di buone intenzioni, ma di capacità amministrativa; non di figure accomodanti, ma di una leadership credibile e strutturata. Governare la Campania richiede non solo visione e onestà (precondizioni minime), ma anche la capacità di muoversi in un sistema complesso senza farsi inglobare, né ostacolare, né paralizzare. Occorre saper scegliere, mediare, imporre, negoziare con durezza quando serve. E, soprattutto, costruire una squadra competente, capace di tradurre le intenzioni e le aspirazioni in atti concreti, fronteggiando la macchina amministrativa quando, per ambigui interessi, tenta di ostacolare ogni riforma con un percorso opaco o tortuoso. Quello della squadra, poi, è un tema delicato, considerato l’operato non proprio incoraggiante di alcuni ministri pentastellati del recente passato.

Molti osservatori si chiedono se Fico – per temperamento, storia politica, esperienze e stile personale – voglia davvero e, soprattutto, sappia sostenere una sfida corpo a corpo con il sistema regionale. Il rischio percepito è duplice: da un lato, un eccesso di idealismo che potrebbe scontrarsi con la realtà amministrativa; dall’altro, la eventualità che in un confronto duro per una discontinuità manchi quella leadership incisiva necessaria a ridisegnare i centri decisionali e a superare resistenze consolidate.

La Campania ha bisogno di discontinuità, non di rotture emotive senza un’alternativa credibile e nemmeno configurata. Una leadership innovativa deve mettere ordine dove c’è caos, creare filiere trasparenti dove oggi domina l’ambiguità, rafforzare gli apparati pubblici senza cadere nell’illusione di poterli ribaltare dall’oggi al domani. La domanda centrale, dunque, è semplice: Fico, oltre la sua narrazione, possiede davvero qualità, pragmatismo e capacità operativa per affrontare questioni che richiedono competenze specifiche e decisioni spesso impopolari?

La gestione della sanità, ad esempio, non può essere affidata solo ai buoni propositi moralizzatori o a vaghe promesse di riorganizzazione, come quella delle reti ospedaliere: serve una visione strategica, capacità di intervenire sulle inefficienze, autorità riconosciuta nel rimodulare poteri e responsabilità, soprattutto in un sistema che De Luca – prima di essere costretto ad abdicare – ha blindato con uomini di sua fiducia. Lo stesso vale per i rifiuti, dove la Campania paga un’eredità pesante di gestioni assai deludenti, come quella attuale; e per i trasporti, ancora segnati da inefficienze strutturali, ritardi e dipendenze storiche.

Nessuna regione italiana ha un bisogno di un riequilibrio così massiccio come la Campania. Fico, in astratto, potrebbe rappresentare un cambio di paradigma, un tentativo di sottrarre la regione a un modello di potere che, pur producendo qualche risultato, ha generato polarizzazione, personalizzazione, opacità e conflitti istituzionali. Ma, in concreto, potrebbe (dubbio di mera “cortesia” espositiva) restare imprigionato nella promessa di “diversità”: senza esperienza e solide capacità gestionali, si rischia di trasformarla in una paralisi decisionale che finirebbe col favorire proprio i vecchi poteri.

La domanda che circola negli ambienti politici e civili è semplice quanto cruciale: in caso di vittoria, Roberto Fico sarebbe davvero in grado di affrontare la difficile complessità campana? Le fondate perplessità non nascono da pregiudizi, ma dalla consapevolezza che governare la Campania è un esercizio di forza istituzionale, continuità operativa e competenza tecnica che non concede apprendistati, nei quali Fico, per sue evidenti lacune, sarebbe costretto a misurarsi. Il futuro della regione dipenderà dalla capacità del prossimo presidente – chiunque sarà – di trasformare le promesse di cambiamento in amministrazione concreta, coerente e resistente alle forze centripete del “sistema”, che, in un modo o nell’altro, farà comunque avvertire la sua presenza ingombrante.

La Campania non può in alcun modo più permettersi il lusso della retorica sognante o delle promesse impalpabili: ha bisogno di concretezza, efficienza, visione realistica e tanto coraggio. Se toccherà a Fico, sarà all’altezza della sfida? La risposta non è nei sondaggi, ma nella sua biografia e nei limiti evidenti del suo profilo amministrativo. E, in definitiva, arriverà solo dal confronto diretto con la realtà, dove la politica, che non perdona incertezze, impreparazioni e indecisioni, smette di essere enunciazione e narrazione e torna ad essere gestione della dura complessità. Non resta che augurarsi che la risposta non sia quella che in molti temono.

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