Si arricchisce di nuovi, agghiaccianti particolari la ricostruzione dell’omicidio di Alessandro Venier, il 35enne di Gemona del Friuli ucciso e fatto a pezzi dalla madre, Lorena Venier, 61 anni, con la complicità della compagna dell’uomo, Mailyn, 30 anni. Davanti al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine, l’infermiera ha descritto con freddezza le fasi del delitto che ha sconvolto l’intera comunità.
“Abbiamo deciso di ucciderlo addormentandolo” – «Ho svuotato un intero blister di medicinali nella limonata, ma non è stato sufficiente. A quel punto gli ho fatto due iniezioni di insulina, visto che non si addormentava del tutto. Le avevo in casa da circa cinque anni, prelevate dal luogo dove lavoro, perché all’epoca avevo deciso di utilizzarle per uccidermi» ha confessato Venier, raccontando che l’agonia del figlio è durata circa sei ore. «Lo abbiamo stordito attorno alle ore 17.30, ma è morto solo verso le 23, perché non riuscivamo a finirlo. Una volta che anche l’insulina ha fatto effetto abbiamo provato a soffocarlo con un cuscino, ma Alessandro continuava a reagire, anche se era privo di forze».
Il cadavere sezionato e nascosto – L’infermiera ha spiegato che l’idea di smembrare il corpo non era stata pianificata: «L’ho fatto da sola, quando abbiamo capito che non ci stava nel bidone in cui avrebbe dovuto decomporsi, in attesa di spargere i resti in montagna. Con un seghetto l’ho fatto in tre pezzi e Mailyn lo ha trasportato nell’autorimessa, coprendolo di calce». Secondo gli inquirenti, la calce viva era stata acquistata pochi giorni prima su Amazon. In un altro passaggio della confessione, Venier ha ricostruito gli attimi finali: dopo il sonnifero e le iniezioni di insulina, lei e la nuora avevano tentato di soffocare Alessandro a mani nude, senza riuscirci. Sarebbe stata Mailyn, secondo il racconto della suocera, a prendere i lacci delle scarpe per strangolarlo.
Il movente – Venier ha riferito che la compagna del figlio le chiedeva di ucciderlo «fin dal giorno della nascita della loro bambina, a gennaio», sostenendo di subire da mesi violenze fisiche e psicologiche. «Mailyn veniva picchiata con violenza, insultata e più volte minacciata di morte. Mio figlio minimizzava la sua depressione post partum e, quando ho deciso di denunciarlo, mi ha tirato un pugno alla schiena». In casa, secondo il racconto, Alessandro avrebbe più volte minacciato la compagna: «Ti porto in Colombia e ti annego nel fiume, tanto laggiù non ti cerca nessuno». Madre e nuora non si sarebbero mai rivolte alle forze dell’ordine per denunciare le violenze, temendo ritorsioni. Venier non ha mai fatto riferimento al coinvolgimento della nipotina nella vicenda.
L’attesa per la versione di Mailyn – La 30enne è stata trasferita nell’Istituto a custodia attenuata per madri dell’Isola della Giudecca, a Venezia. I suoi legali, Federica Tosel e Francesco De Carlo, contano di incontrarla nei prossimi giorni per raccogliere la sua versione dei fatti. Finora, a eccezione di ammissioni non verbalizzate e quindi inutilizzabili in giudizio, rilasciate ai carabinieri di Gemona senza la presenza di un avvocato, Mailyn non ha fornito alcuna dichiarazione ufficiale. L’intera ricostruzione dell’omicidio si basa, al momento, esclusivamente sulle parole della madre della vittima.