Kiev, ancora una volta, si risveglia sotto le macerie. Nella notte tra martedì e mercoledì la capitale ucraina è stata colpita da un violentissimo attacco con droni di fabbricazione iraniana “Shahed”, lanciati dalle forze russe in quella che appare come una delle offensive più massicce dall’inizio del conflitto. Le esplosioni hanno squarciato il silenzio in diversi distretti cittadini — Solomyanskyi, Holosiivskyi e Darnytskyi — dove si sono sviluppati incendi e scene di panico.
Il bilancio, ancora provvisorio, è stato fornito dal sindaco Vitalij Klitschko: «Quattro persone sono state uccise nella capitale a seguito di un attacco nemico. Secondo gli ultimi dati forniti dai medici, finora sono rimaste ferite 20 persone. 16 di loro sono state ricoverate in ospedale». In uno degli edifici colpiti, un incendio è scoppiato al 17esimo piano. I soccorsi sono stati immediati, ma il primo cittadino ha lanciato un appello alla popolazione: «Restate nei rifugi». Secondo le autorità, sono possibili interruzioni di corrente in alcuni quartieri, come avvertito dal capo dell’Agenzia per elettricità e acqua Timur Tkachenko.
Il comando dell’aeronautica ucraina ha confermato che la difesa aerea è riuscita ad abbattere numerosi velivoli nemici. Ma l’intensità dell’attacco è stata straordinaria. Secondo Yuriy Ignat, portavoce del Comando dell’aeronautica militare ucraina, «i russi hanno utilizzato oggi 407 droni d’attacco sul territorio del nostro Stato. Ci sono anche informazioni secondo cui il nemico ha utilizzato 6 missili balistici e 38 missili da crociera, la maggior parte dei quali sono stati distrutti». La risposta di Kiev non si è fatta attendere. Secondo lo Stato maggiore ucraino, nella stessa notte sono state colpite due basi aeree in territorio russo: Engels, nella regione di Saratov, e Diaguilevo, nella regione di Ryazan. Almeno tre depositi di carburante sarebbero andati distrutti.
Il ministero della Difesa russo ha confermato di aver intercettato 174 droni lanciati dall’Ucraina su varie regioni — da Mosca a Belgorod, da Tula a Kursk — oltre a tre missili Neptune diretti sul Mar Nero. Sette droni ucraini sarebbero stati abbattuti nei cieli sopra la capitale russa, ha affermato il sindaco di Mosca Sergey Sobyanin, mentre un altro avrebbe provocato un incendio a Engels.
Sul piano internazionale, i segnali di una tregua restano lontani. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, in visita ufficiale alla Casa Bianca, ha lanciato un appello diretto all’ex presidente Donald Trump: «È la persona chiave al mondo che può davvero fermare la guerra», ha dichiarato, chiedendogli esplicitamente di esercitare «pressioni sulla Russia». Ma dal fronte trumpiano la risposta è stata glaciale: «Non penso che Russia e Ucraina firmeranno un accordo. Ho chiesto a Putin di non rispondere agli attacchi di Kiev con i droni», ha tagliato corto il tycoon, confermando lo stallo sul fronte negoziale. Anche la presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha espresso scetticismo: «I segnali non sono incoraggianti», ha detto, commentando le prospettive di pace.
In questo clima, l’Alleanza Atlantica si muove verso un nuovo paradigma di deterrenza. I Paesi Nato sarebbero prossimi a un’intesa sull’aumento della spesa per la difesa, fino al 5% del PIL nazionale. Lo ha annunciato il segretario americano alla Difesa, Pete Hegseth, definendo l’accordo “vicino”. Nel frattempo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, attraverso il suo canale Telegram, ha denunciato il nuovo raid russo: «Nella notte le Forze armate russe hanno effettuato un massiccio attacco contro le regioni dell’Ucraina. Ora è il momento in cui gli Stati Uniti, l’Europa e tutti i Paesi del mondo insieme possono fermare questa guerra facendo pressione sulla Russia. Se qualcuno non esercita pressioni e dà alla guerra più tempo per prendere vite umane, è complice e responsabile. Dobbiamo agire con decisione».