Per due decenni il suo nome è rimasto intrappolato tra le pieghe del silenzio e della rassegnazione. Una vittima dimenticata, risucchiata nella cronaca nera come un nome qualsiasi, come un’altra tessera nel mosaico tragico della camorra. Ma Attilio Mottola non era un camorrista, né un affiliato. Era un lavoratore. Un uomo onesto che aveva avuto il coraggio di compiere un gesto tanto semplice quanto pericoloso: segnalare la presenza di un boss al ristorante dove lavorava, il “Sayonara” di Castel Volturno.
Quel gesto gli costò la vita. E solo oggi, a distanza di vent’anni, la verità ha preso finalmente forma nelle aule del tribunale. Il giudice per l’udienza preliminare di Napoli, Fabrizia Fiore, ha emesso tre condanne per l’omicidio: Raffaele Bidognetti (16 anni), Salvatore Spenuso (17 anni e 4 mesi) e Francesco Di Maio (16 anni), tutti già noti alle cronache giudiziarie come pregiudicati casalesi.
Il movente è stato svelato dallo stesso Bidognetti, oggi collaboratore di giustizia e figlio dell’ergastolano Francesco, detto “Cicciotto ’e Mezzanotte”. L’ex boss ha confessato di aver ordinato personalmente l’omicidio, ritenendo Mottola responsabile della sua “cattura bis”: secondo la sua ricostruzione, sarebbe stato proprio il cameriere a rivelare alle forze dell’ordine il luogo dove si nascondeva, determinando il ripristino della misura di sorveglianza speciale cui era sottoposto a Parete.
In aula, Bidognetti ha raccontato di aver incaricato Spenuso e Di Maio, suoi uomini fidati, di eseguire il delitto. E così fu: pochi giorni dopo la soffiata, i due raggiunsero la vittima e la eliminarono, tornando la sera stessa dal boss per riferire ogni dettaglio. Le accuse sono state rafforzate non solo da altri collaboratori di giustizia, ma anche da una confessione che ha spiazzato l’aula: durante l’udienza, è stato lo stesso Spenuso a confermare la propria partecipazione al delitto. «Lui alla guida, Di Maio ha sparato», ha dichiarato, ricostruendo l’intera dinamica e precisando che nessun altro fu coinvolto.
Tutti e tre hanno scelto il rito abbreviato, possibile in quanto l’omicidio avvenne prima della riforma del 2019 che ha escluso tale possibilità per i delitti più gravi. Le aggravanti sono state escluse, così come la contestazione dell’uso di armi, rendendo applicabile una riduzione di pena. Le condanne rispecchiano le richieste avanzate dalla pubblica accusa, rappresentata dal pubblico ministero Graziella Arlomede. A rappresentare le parti civili – la moglie e i figli della vittima – l’avvocato Fabio Della Corte, mentre i difensori degli imputati sono gli avvocati Carlo De Stavola e Carmine D’Aniello.