Camorra, “Sandokan” vuole tornare a collaborare con la giustizia

di Redazione

Francesco Schiavone, 70 anni, alias Sandokan, storico capoclan dei Casalesi, ha espresso ieri la volontà di riprendere la collaborazione con la giustizia. A riportarlo, stamani, è il quotidiano Cronache di Caserta, che ricostruisce quanto accaduto nell’aula della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, dove Schiavone è imputato – insieme al collaboratore di giustizia Giuseppe Pagano – per un triplice omicidio di camorra avvenuto nel 1983. A cadere sotto i colpi della criminalità organizzata furono Luigi Cantiello, Nicola e Luigi Diana.

Nel corso dell’udienza, l’ex boss ha chiesto di sottoporsi a esame in aula – fatto inedito nella sua lunga storia giudiziaria – ma la Corte ha rigettato la richiesta per l’assenza di un difensore di fiducia. Gli è stato quindi concesso di rilasciare dichiarazioni spontanee Schiavone ha affermato di aver reso ben 19 interrogatori durante il suo breve periodo di collaborazione, e si è detto sorpreso del ritorno al regime del 41 bis. Ha anche fatto riferimento all’agguato del 1983, attribuendo a Pagano un’autodenuncia che definisce “ingiusta” e ammettendo per la prima volta la propria responsabilità nel delitto. Una svolta significativa, considerando che in primo grado si era proclamato innocente. Nonostante ciò, il sostituto procuratore generale ha chiesto la conferma dell’ergastolo inflitto in primo grado, ricordando che Schiavone aveva scelto il rito abbreviato, anche questo un fatto inedito nella sua storia processuale. Il processo proseguirà a fine maggio con le arringhe difensive.

Cronache ricorda che Schiavone aveva già iniziato un percorso di collaborazione con la giustizia nel marzo 2024, notizia accolta con grande attenzione dall’Antimafia, vista la sua posizione apicale nel clan. Tuttavia, la collaborazione si interruppe bruscamente dopo appena un mese. A incidere – secondo quanto trapelato dalla Procura di Napoli, oggi guidata da Nicola Gratteri – sarebbero state le mancate dichiarazioni su temi cruciali, tra cui l’emergenza ambientale della cosiddetta Terra dei fuochi.

Un altro elemento determinante sembra essere stato il comportamento del figlio Emanuele Libero Schiavone che avrebbe respinto pubblicamente la scelta del pentimento del padre, tornando a Casal di Principe e venendo coinvolto in uno scontro con un gruppo rivale legato alla fazione Bidognetti. Solo l’arresto per armi e droga, nel giugno scorso, avrebbe evitato un regolamento di conti.

Tra i fondatori e leader storici del clan dei Casalesi, organizzazione camorristica attiva nell’Agro aversano e nel basso Lazio, Schiavone fu arrestato nel 1998 dopo quattro anni di latitanza e successivamente condannato a diversi ergastoli per numerosi omicidi, oltre che per affari illeciti collegati a droga, estorsioni e traffico di rifiuti. È uno dei protagonisti del maxi-processo Spartacus, conclusosi con 16 ergastoli confermati dalla Cassazione, che azzerò i vertici del clan.

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