Aversa, Savino racconta agli allievi della “De Curtis” la Russia di Putin prima e dopo la guerra in Ucraina

di Costantino Pacilio

Aversa (Caserta) – Un importante momento di riflessione e approfondimento storico sul conflitto russo-ucraino, quello vissuto dalle studentesse e dagli studenti delle classi terze della centrale e della succursale di via Salvo D’Acquisto dell’istituto comprensivo “De Curtis” di Aversa diretto da Carmen Del Vecchio.

Le ragazze e i ragazzi hanno ascoltato con estrema attenzione le parole del professor Giovanni Savino, docente di Storia Contemporanea presso l’Università di Mosca che ha dedicato un’intera mattinata alla scuola che ha frequentato da ragazzo. Una preziosa testimonianza di come i russi stanno vivendo questo momento, da uno storico che ha trascorso gran parte della sua vita nella Russia di Putin dove vive da diciassette anni e dove ha trovato moglie e con due figli.

“Mi mancano i miei studenti, le sale della Biblioteca statale a Mosca, i paesaggi immensi, il silenzio della neve, la vastità del fiume Volga, la capacità di resistere a tutto di tanta gente comune” è il suo primo commento da quando è in Italia. L’invasione russa ha gettato l’Ucraina, l’Europa e il mondo intero, nel caos. Mentre i carri armati e i missili della Russia continuano ad incontrare nelle città ucraine una resistenza sorprendente, anche la stessa Russia sembra affacciarsi su una nuova epoca oscura. Se gli ex sostenitori di Vladimir Putin nell’Unione Europea lo hanno scaricato, e i Paesi dell’occidente si stanno unendo in gesti di solidarietà con l’Ucraina sia materiali che simbolici, la società russa si trova di fronte a sanzioni durissime, isolamento culturale e repressione interna. – continua sotto –

Una prospettiva che riguarda anche tutti quegli intellettuali immigrati che in Russia vivono e lavorano, spesso dopo averla amata, e che adesso si trovano di fronte a un bivio tragico. Tra questi Giovanni Savino, tornato in Italia poco prime del 24 febbraio, giorno dell’attacco all’Ucraina, che già da tempo sentiva nell’aria il rischio delle ritorsioni, dei prelievi coatti sul conto corrente e di una chiusura totale delle frontiere. A spingere Savino ad abbandonare la Russia è stata la messa in moto del meccanismo di approvazione rapida della legge sulle fake news e sul vilipendio alle forze armate, che prevede sanzioni pecuniarie e la detenzione fino a 15 anni. “Durante le mie lezioni avevo fatto un errore: consentire ai miei studenti di parlare dell’Ucraina. In aula, pubblicamente. Avevo detto che con la guerra non si sarebbe risolto nulla e che la Russia sarebbe sprofondata in una situazione paragonabile a quella degli anni Novanta, se non peggiore. Considerato che subisco da tempo intimidazioni da parte di gruppi di estrema destra, non ho avuto scelta”.

Improvvisamente esposto a una grande attenzione mediatica, come spesso succede agli esuli nei momenti epocali e di polarizzazione politica, Savino in realtà è un accademico timido e mansueto, che giorno dopo giorno aveva smesso di sentirsi al sicuro in un Paese che non riconosce più, e che tuttavia continua a difendere dagli stereotipi e dalle cattiverie. “Mia moglie, pur essendo russa, ha iniziato a dirmi che era venuto il momento di andarcene. Io inizialmente ho esitato”, dice. Troppi i legami, materiali e professionali. Non ultimi i due figli, nati e cresciuti a Mosca. Ora che se n’è andato davvero, non ha più niente attorno a sé a parte la stima dei nuovi lettori e dei vecchi compagni di scuola. Dai suoi colleghi e amici di Mosca la reazione alla sua partenza è stata di dolore e solidarietà. “L’atmosfera nei primi giorni di conflitto era di shock, perché nemmeno la propaganda era preparata al conflitto”, fa notare Savino. “E infatti si è mossa in ritardo e ora prova a recuperare con alterni successi, in uno spazio – quello informativo – finora dominato dall’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Molte persone che conosco hanno parenti in Ucraina, non possono accettare l’idea di una guerra con un popolo così affine e considerato fratello”. Molti lo hanno capito e sostenuto. Altri non hanno detto nulla ma hanno compreso. “In un caso, però, una collega con cui lavoravo da tempo mi ha sgridato per quello che ho scritto e non mi ha più parlato”.

Si potrebbe pensare che il putinismo si sia trasformato in una sorta di ideologia totalitaria, in una Matrix. Ma non è così, dice Savino, “perché non ha una grande base sociale”, e si regge piuttosto su un sistema contorto di coercizione, incentivi economici all’obbedienza e gratitudine per quanto fatto da Putin dopo i disastrosi anni Novanta. Per quanto riguarda le sanzioni, le contromisure economiche dell’Occidente hanno sferrato un duro colpo alla vita della gente comune. “Se il tuo stipendio prima valeva 1.200 euro ora vale meno di 500”, ha testimoniato Savino. “Nei supermercati l’acquisto dei cibi di prima necessità è razionato: cose così non si vedevano da 30 anni”. E poi, sono stati chiusi tutti i negozi “occidentali” da Ikea ai Mc Donald’s che hanno fatto perdere lavoro a migliaia di persone. Un elemento cruciale di cui spesso non si parla è la depoliticizzazione, più che la nazionalizzazione, della società russa: “Si accompagna allo sviluppo del nuovo Stato, in realtà parecchio giovane, e si basa sul tentativo, poi riuscito, di limitare il pluralismo già durante l’era Eltsin, con l’adozione di una Costituzione iper-presidenzialista dove il ruolo della Duma (il Parlamento russo) è puramente decorativo, e proseguito e perfezionato da Putin”. Il compromesso stabilito a inizio anni Duemila da parte del potere si basava dunque su uno scambio con la società: “Le autorità garantiscono stabilità e crescita economica, e dall’altro lato non si disturba il manovratore”. – continua sotto –

Un secondo elemento trascurato della Russia, secondo Savino, è il carattere postmoderno della politica e del sistema. “Penso alla gestione praticamente dall’alto di tutti i partiti presenti alla Duma, la creazione di momenti di spettacolarizzazione di temi secondari per distrarre la società, e l’introduzione di forme raffinate di repressione, aumentate nel corso degli anni. Putin negli ultimi due anni ha utilizzato i temi dell’area nazional-conservatrice della tarda età imperiale, dove l’identità nazionale degli ucraini era negata Un azzardo, perché è proprio la composizione multietnica della Russia a rendere difficile un progetto di omogeneizzazione interna. Rischia di causare malumori se non una dissoluzione totale della federazione”. In questi giorni, sono innanzitutto i rappresentanti della classe media con connessioni cosmopolite a voler lasciare la Russia: i progressisti che lavorano nei giornali, i creativi, chi può lavorare da remoto, e poi quella parte di borghesia medio-alta che ha qualche soldo da parte ed è terrorizzata da ciò che potrà venire dopo. Ovviamente senza questi segmenti le autocrazie possono non solo sopravvivere, ma persino rafforzarsi, nel breve periodo.

Ma il punto principale è che il conto dell’isolamento e indurimento del laboratorio di guerra russo sarà pagato in primis da tutti quanti gli altri, quelli che non vogliono o non possono fuggire. E questo proprio perché, nonostante i proclami di diversità culturale stilati da Putin, dai suoi patriarchi filogovernativi e dalle galassie italiane a essi affini, la politica economica russa è stata negli ultimi vent’anni una delle più conformiste ed ortodosse della Terra: pienamente integrata nella globalizzazione e dipendente dal consumismo sfrenato. “L’idea di una alterità del capitalismo russo è una suggestione senza alcun tipo di fondamento”, dice Savino, che in gioventù, quando si laureava in Storia all’Università Federico II è stato segretario politico della sezione di Rifondazione Comunista di Aversa. “Lo Stato sociale nel paese è ridotto ai minimi termini, vi è la flat tax e il sistema pensionistico conteggia solo una minima parte dello stipendio. Vi è una visione spietatamente competitiva, dove i siloviki, gli uomini dei servizi e delle forze dell’ordine, si accaparrano le fortune altrui”.

Fatto sta che, dopo la questione Covid, nuove divisioni sono nate a sinistra proprio sul ruolo da assegnare alla Russia putiniana come “alternativa” all’odiato liberal-progressismo, contenitore nel quale vengono messi la Nato, Obama, i “covidioti” e il politicamente corretto. Anche se i partiti di sinistra che sostengono attivamente l’invasione russa rimangono una piccola minoranza, voci dall’Europa dell’Est e altrove hanno rimproverato la sinistra per aver sottovalutato le ambizioni imperiali di Putin e per aver minimizzato la minaccia che la Russia oggi pone ai Paesi limitrofi. “Credo che molti compagni siano rimasti affascinati da quel modello a causa dell’attesa messianica di un nuovo eroe anti-americano. Hanno adattato vecchi schemi interpretativi dell’Urss che in realtà erano percezioni e poco altro, un sistema che è la negazione totale di ciò che l’Urss rappresentava”, spiega Savino. “Del resto lo stesso Putin più volte ha denunciato l’operato di Lenin e dei bolscevichi come causa della distruzione della grandezza della Russia imperiale. Ma le illusioni son più forti della realtà. E oggi qualche compagno fessacchiotto mi dà già del complice della Nato. Pazienza”.

Di sicuro vengono già strumentalizzate e adoperate nella propaganda del Cremlino le nuove forme di censura. A cominciare dalla «cancellazione» di scrittori, artisti, intellettuali russi, vivi e morti, putiniani e anti putiniani, da parte di università e istituzioni culturali occidentali, in nome di una «guerra giusta»: «Il caso “Dostoevskij censurato dalla Bicocca” ha tenuto banco per giorni nei media filo-Putin; è stato un danno grave per l’Italia [il corso sullo scrittore tenuto dal professor Paolo Nori era stato rinviato dall’università, che poi ha fatto dietrofront, ndR]. Si tratta di scelte stupide nel loro orientalismo furioso, che hanno come primo effetto l’isolamento di quei russi contrari alla guerra e di quelli in fuga dal regime. È come con l’islamofobia», dice Savino. A causa della profonda depoliticizzazione sociale russa, però, il professore non riesce a vedere grandi margini per la nascita di un movimento pacifista sul modello di quello che abbiamo visto in Europa e in America del Nord in occasione della Guerra in Iraq. “Ma vi sono delle fratture importanti: pensiamo alle migliaia di persone fermate durante le proteste nei giorni scorsi – in un Paese dove anche un mese in galera può spezzare la schiena a chiunque – o al caso della giornalista del tg del Primo canale Marina Ovsyannikova, che ha provato a interrompere la diretta con un cartellone contro la guerra”.

Indipendentemente dal fatto che la guerra si concluda con la totale occupazione russa, con una vittoria dell’Ucraina o con un qualche tipo di accordo negoziato nel mezzo, le sue ripercussioni si faranno sentire in entrambi i Paesi – e in tutto il mondo – per gli anni a venire. Un ritorno in Russia non sarà dietro l’angolo, Giovanni Savino lo sa. E dalla sua casa di Aversa saluta conclude con una speranza: “Può esserci una Russia pacifica. E forse milioni di persone in questo momento pensano a come realizzarla”. IN ALTO UNA GALLERIA FOTOGRAFICA

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