Vincent Cassel: “I doppiatori, in Italia, sono una mafia”

di Emma Zampella

È stato presentato a Roma il nuovo film con Vincent Cassel, “Un momento di follia”, la cui uscita nelle sale italiane è programmata per il prossimo 24 marzo. Una commedia drammatica ambientata in Corsica che per l’attore francese rappresenta l’esempio di quanto sia difficile e complesso il gioco del doppiaggio delle pellicole straniere.

“In Italia è complicato vedere un film in lingua originale, perché i doppiatori qui sono una mafia”, afferma Cassel. “Il doppiaggio c’è anche in Francia – prosegue Cassel – ma i doppiatori non hanno il potere come se fossero loro che fanno il cinema, ci sono i creatori e i doppiatori, i doppiatori fanno il doppiaggio. Quando c’è uno sciopero dei doppiatori il cinema non si ferma”.

In ‘Un momento di follia’ Cassel e Cluzet sono amici di lunga data che da Parigi vanno in vacanza in Corsica, nella casa natale di Cluzet, con le due figlie, una appena maggiorenne e l’altra ancora per poco minorenne. Fra Cassel e la figlia, minorenne, dell’amico scatta un momento di follia, che lei vorrebbe trasformare in un rapporto stabile e lui nascondere e dimenticare.

LA REPLICA – “Il signor Cassel è male informato, non c’è alcuna mafia nel mondo dei doppiatori italiani. Siamo una categoria di professionisti che fa onestamente il proprio lavoro e che certe volte rende giustizia ad un film con bravissimi attori: lo rendiamo in italiano senza sfigurarlo”. Lo afferma all’Adnkronos Roberto Stocchi, doppiatore e direttore del doppiaggio, ‘voce’ italiana di Klaus, il pesce rosso in ‘American Dad!’, di Michael Chiklis in ‘No Ordinary Family’ e di Zach Galifianakis nella trilogia di ‘Una notte da leoni’.

“Il signor Cassel -aggiunge Stocchi dovrebbe informarsi un po’ meglio, da noi non c’è alcuna mafia. Il nostro lavoro va a coprire una lacuna che si riscontra in una fetta del mercato formata da spettatori che non conoscono le lingue come ad esempio gli anziani. Spettatori che, altrimenti, non potrebbero vedere alcuni film. Ci sono, d’altronde, pellicole che appartengono a culture orientali, come quella giapponese o araba, difficili da seguire con i sottotitoli. La nostra categoria si difende da sola, non perché è una mafia ma con la qualità del suo lavoro”.

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