Giornata contro la violenza sulle donne: testimonianza di una vittima

di Gabriella Ronza

 In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne (25 Novembre), ecco un’intervista fatta ad una delle tante vittime di questi inqualificabili atti di puro maltrattamento.

Nel 2013, anno che ha segnato il culmine di tali episodi, secondo il rapporto dell’Eures (l’istituto di statistica europeo) sono stati circa 179 i casi di femminicidio, ossia “qualsiasi forma di violenza esercitata sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità”.

Il sesso debole, tuttavia, che ormai almeno dal punto di vista sociale e intellettivo “debole” non si ritiene affatto, denuncia sempre più frequentemente atti violenti perpetuati ai suoi danni da parte di mariti, compagni e fidanzati.

È il caso di Elisabetta, nome di fantasia, che ha voluto raccontare la sua esperienza al riguardo, via telefono. La donna, attualmente cinquantunenne, è stata per anni vittima della violenza brutale del marito, morto per cause naturali dieci anni fa. (N.d.r. Le risposte dialettofone dell’intervista sono state riportate in italiano corretto per maggiore chiarezza).

Elisabetta per quanti anni è stata vittima di violenza? Ho sposato il mio defunto marito all’età di venti anni. Già dopo qualche mese dal matrimonio ha rivelato il carattere di un uomo violento, ben lontano dall’idea che io e i miei genitori ci eravamo fatti di lui. Sembrava un ragazzo distinto, di umile e buona famiglia, con un lavoro. Niente faceva presagire ciò che io ho dovuto subire per tanti anni.

Senza scendere nel dettaglio, quali erano gli atteggiamenti di suo marito? Inizialmente si approcciò in modo gentile, ma con il trascorrere dei mesi incominciò ad essere sempre più morboso ed oppressivo. Era molto geloso. Al tempo facevo la sarta e dovetti lasciare la mia piccola attività. Si arrabbiava per nulla: se trovava il piatto freddo a tavola, se non gli avevo sistemato bene la camicia. Dapprima con le parole e poi con i gesti: schiaffi e pugni.

Chi era a conoscenza di questa situazione? Inizialmente nessuno. A venti anni ero una persona molto ingenua, pensavo fosse normale, che non ci fosse nulla di sbagliato. Sono cresciuta in una famiglia all’antica: mia madre era una casalinga subordinata a mio padre. Quindi, pensavo che le cose dovessero andare così. In seguito, lo dissi al parroco del mio paesino che andò perfino a parlare con mio marito. Lui, ovviamente, negò tutto. Diceva che ero pazza, che solo una volta aveva alzato le mani per uno schiaffo nemmeno troppo forte. Il prete se ne andò via sconcertato, perché effettivamente in pubblico io e mio marito sembravamo una coppia perfetta senza nessun tipo di problema. Dopo l’incontro, lui minacciò di picchiare anche i nostri figli. Così al mio prete, pace all’anima sua, non dissi più nulla e quando mi chiese se lui si fosse calmato, io risposi che avevo esagerato nel racconto e, che in realtà, era solo una vendetta per un litigio. Fui davvero una stupida. Attualmente, invece, solo una mia amica e i miei figli conoscono tutta la storia.

Quindi è per questo che non ha mai deciso di lasciarlo definitivamente, per i suoi figli? Anche. Inoltre, come ho detto prima, non sapevo che le cose non dovessero funzionare così. Nel corso degli anni, però, guardando programmi televisivi e parlando normalmente con delle amiche ho capito che la normalità non erano gli “schiaffi”.

Non ha mai pensato alla separazione? Sì. Ho desiderato di andare via di casa, di ritornare dai miei genitori e di crescere da sola i miei figli. Ho passato una vita come un lungo incubo i cui soli momenti normali erano quando lui stava a lavoro. Mi sentivo una nullità, non ero niente. Vivevo solo per non farlo arrabbiare. Purtroppo, non ho mai avuto il coraggio, forse perché mi sentivo sola. Lui aveva creato un fosso intorno a me e io non avevo la forza per reagire.

I suoi figli se ne erano accorti? Sospettavano qualcosa. Noi abitiamo in una casa molto spaziosa e lui era accorto a non fare più di tanto davanti ai bambini. A volte, mi diceva “vieni sopra” e io, sapendo già, raccomandavo a tutti di starsene buoni in cucina. Due anni dopo che lui è morto, ho raccontato la verità e loro mi hanno compreso e appoggiato.

E ora? Ora, è orribile dirlo, ma sono libera. È una sensazione bellissima. Mi sento la persona più fortunata al mondo. Prima ero in prigione, ora è come se qualcuno l’avesse aperta e io stessi respirando aria pulita.

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