Creare impresa in Italia: un”avventura rischiosa

di Redazione

 Si potrebbe dire che creare una piccola impresa in Italia è matematicamente impossibile. Perché? A parte che oggi è in atto una vera e propria crisi economica e, quindi, avventurarsi nella creazione di una nuova impresa può rivelarsi fatale, ci sono da considerare i balzelli burocratici che girano intorno alla creazione di una nuova attività e che rischiano in poco tempo di mandare in tilt il titolare dell’impresa.

Innanzitutto, va chiarito l’aspetto fondamentale che porta molte neonate imprese a chiudere prima di poter crescere. Questo aspetto riguarda i famigerati “studi di settore”, che già dal secondo anno mettono in ansia l’impresa. Il primo anno non si paga nulla di tasse, questo è doveroso dirlo. Giusta questa formula, ma in pratica le cose sono ben diverse. Sarebbe opportuno esimere le nuove imprese dal pagare qualsiasi cosa per i primi tre-quattro anni di vita. Per mettere su un’impresa e farla crescere, servono in linea di massima quasi cinque anni. Soltanto dopo questo periodo, che sembra lungo, invece è molto breve, si riesce a trovare una strada da percorrere imboccando il sentiero della crescita. Questo non avviene, rallentando, attraverso i vari bulloni della burocrazia, quello che deve essere la crescita nel tempo di una nuova attività. Per essere più precisi, già dal primo anno di attività, parliamo non appena viene ricevuta l’iscrizione alla Camera di Commercio, arrivano al titolare dell’impresa, molte volte con le rate già scadute, i contributi Inps. Ebbene, per molti possono sembrare un obbligo, si può storcere il naso se si parla di questo, ma se si guarda il rovescio della medaglia è ben diverso. Per chi costruisce un’impresa quei contributi diventano un peso esagerato, condizionando di molto l’attività, arrivano in un momento in cui si sta iniziando a costruire e a creare una rete di clienti, cose che richiedono ingenti risorse economiche, che molte volte i neonati imprenditori o artigiani non hanno a disposizione. Da quel momento il titolare dell’impresa diventa un vero e proprio “criminale” per lo Stato. Perché? Semplice, quasi sempre quei contributi diventano il tallone di Achille per un neo imprenditore.

Premetto che stiamo parlando di nuove piccole imprese, che spaziano dal piccolo commerciante alla piccola impresa edile, al meccanico, all’idraulico, all’elettricista, e tanti altri. Questi soggetti produttivi sono quelli che rendono l’economia di un paese alta, poiché non hanno nessun sostegno dallo Stato, ciò che creano dipende dalle loro capacità professionali ed esigue risorse economiche. Per queste categorie è impossibile, nei primi anni, stare dietro alle richieste dello Stato, a meno che non hanno ottenuto dei prestiti bancari che, nel corso del tempo, devono restituire con gli interessi. Anche se ci sono questi finanziamenti, ugualmente, diventa dannoso correre dietro ai contributi o agli studi di settore richiesti dallo Stato. Questi piccoli soggetti, già dal primo anno, devono guadagnare più di 25mila euro soltanto per pagare lo Stato, l’affitto dei locali dell’attività ed altri oneri che riguardano soltanto le funzioni strutturali dell’impresa. Purtroppo è così, questi poveretti hanno già prima di nascere un debito che si aggira intorno a quella somma. Nel corso del tempo, l’affitto cercano in tutti i modi di pagarlo, quello che resta sempre in sospeso sono i contributi previdenziali, e il più delle volte lo studio di settore.

Morale della favola, dopo il secondo anno si vedono recapitare una sferza di tasse da pagare che mandano letteralmente in crisi le loro attività, create per evitare una disoccupazione a vita. Oltretutto, questi contribuenti diventano morosi, ciò vuole dire che per lo Stato sono evasori e nello stesso tempo vengono costretti con la forza a pagare. Come? Pignorando ogni bene in loro possesso: auto, case ed altro ancora. Come vedete, creare una nuova impresa significa rischiare di diventare una specie di “nemico della società”. Purtroppo non è così: dietro tali nemici della società ci sono persone oneste, padri che impegnano tutto per i loro figli, o persone che hanno perso il lavoro e cercano di crearsene uno per conto proprio. Il tutto va inserito in un contenitore che vede sempre l’evasione come peso ultimo delle difficoltà della nazione. É vero, perché l’evasione in Italia ha un tasso molto alto rispetto agli altri partner europei.

Va anche detto che nel resto d’Europa le condizioni per le imprese sono differenti dal nostro Paese, soprattutto hanno aliquote più basse. Inoltre, hanno a disposizione strumenti che danno una spinta alle nuove imprese aiutandole a crescere. Tutto ciò in Italia non è possibile per colpa del debito pubblico, causato dalla politica italiana dal dopoguerra ad oggi. Ciò comporta una penalizzazione per la crescita del Paese in termini economici. Tuttavia, non possono essere escluse innovazioni che mettono questi soggetti produttivi nelle condizioni di poter essere aiutati a crescere con la propria attività, di conseguenza poter creare occupazione. Far crescere le piccole imprese indica una condizione migliore per il futuro, dando alla società strumenti aggiuntivi che creano occupazione. Quindi, bisogna avere la disponibilità dei governi per mettere in cantiere risorse che aiutino le piccole imprese ad aprire. Semplicemente così si riesce a mettere in piedi un meccanismo che crei ricchezza e non solo evasione.

Bisogna trovare una giusta misura che eviti il continuo aprire e chiudere di imprese, dato che emerge dalle camere di commercio, dove un numero di imprese continua ad aprire e, sistematicamente dopo meno di due anni chiudono l’attività. Se queste piccole imprese non chiudessero, in Italia ci sarebbe poca disoccupazione e grande ricchezza. Impegnando poche risorse dello stato, a fronte di ingenti capitali, che il più delle volte lo stato usa in malo modo, lasciando, invece, le piccole e medie imprese da sole a combattere con il loro destino già segnato.

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