Cannes, Palma d’Oro alla Francia. Italia a mani vuote

di Gaetano Bencivenga

Cannes – Si conclude nel peggiore dei modi la 68esima edizione del Festival di Cannes. La pattuglia italiana formata dall’imbattibile (a detta della stampa estera) trio Moretti, Garrone, Sorrentino non viene assolutamente presa in considerazione dalla giuria internazionale capitanata dai cineasti americani Joel e Ethan Coen e rimane, sorprendentemente, fuori dalla lista dei vincitori. Che, invece, non risparmia di incensare i padroni di casa, secondo i più, protagonisti di una selezione al di sotto del livello di accettabilità.

Ma si sa, i francesi sono nazionalisti e, proprio, nell’anno della grandeur tricolore rispondono regalando una pioggia di riconoscimenti al proprio cinema.

A partire dalla Palma d’Oro per il miglior film consegnata dai fratelli Coen al buono, ma non imperdibile, “Dheepan” diretto dal pluridecorato Jacques Audiard. Si tratta, in realtà, di quanto di meglio la modesta spedizione transalpina avesse messo in competizione nella kermesse 2015. Un’opera dura sul dramma dell’emigrazione, che non ha, però, l’energia eversiva del “Profeta”, pellicola dello stesso Audiard, che fece epoca qualche anno fa.

Non paghi di aver agguantato l’alloro più importante, si sono presi anche quello per l’interpretazione maschile, un commosso Vincent Lindon disoccupato nel socialmente impegnato “La loi du marché” di Stephane Brizé, e femminile, l’emozionatissima Emanuelle Bercot, donna pazzamente innamorata nel controverso “Mon roi” di Maiwenn. Quest’ultima ha, però, condiviso l’ambito trofeo con la statunitense Rooney Mara, commovente ragazza lesbica nell’elegante e conturbante “Carol” di Todd Haynes, che ha ritirato la Palma al suo posto.

Insomma, almeno, un premio i Coen l’hanno portato in patria. Per la cinematografia del resto del pianeta, quindi, solo le briciole. Un Gran Premio della Giuria al giovane ed esordiente ungherese Laszlò Nemes per l’originale rilettura della tragedia dell’Olocausto di “Son of Saul”; un Premio della Giuria al greco “The Lobster” di Yorgos Lanthimos, fantasmagorica allegoria sull’animalesco futuro dei single; un riconoscimento all’adrenalinica regia del cinese Hou Hsiao Hsien di “The Assassin”; e un altro all’oscura sceneggiatura di “Chronic” del messicano Michel Franco.

Alla fine tutti i titoli pronosticati alla vigilia, eccetto i francesi, appaiono nel palmares. Tutti tranne i nostri. Una mancanza, anzi uno sfregio, che difficilmente sarà dimenticato (e perdonato).

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