Le Caste e le Sottocaste

di Redazione

Casta degli IndustriosiQuesta è la sceneggiatura di un film. I fatti e i personaggi citati non sono reali. Sono il frutto esclusivo della fantasia dell’autore. Le somiglianze a situazioni e individui esistenti o esistiti sono da considerare puramente casuali. Per il contenuto e la crudezza degli episodi descritti, si consiglia la lettura unicamente a chi è maggiorenne ed in piena salute. Persone eccessivamente sensibili, bambini, operai in cassa integrazione e donne incinte sono invitati a non andare oltre.

La storia è ambientata in una grande e ricca nazione. Come in molte nazioni di questo mondo, gli abitanti erano divisi in Caste e Sottocaste. Le più numerose erano la Casta degli Squali Famelici e la Sottocasta dei Pesci Piccoli. In questo paese non tutte le regioni erano ugualmente ricche. C’erano quelle economicamente più progredite, dove la maggioranza degli abitanti apparteneva alla Casta degli Squali Famelici e quelle più povere abitate, in stragrande maggioranza, dalla Sottocasta dei Pesci Piccoli. Ma veniamo alla nostra storia. Un giorno, proveniente dall’altra parte dell’oceano, arrivò in questa gran nazione, un riccone appartenente alla Casta degli Industriosi. Era intenzionato a realizzare qualche “buon affare”.

La prima occasione gli fu offerta da alcuni appartenenti alla Casta degli Inviolabili Nazionali, che potevano contare sull’amicizia, interessata, di molte famiglie di Squali Famelici, residenti in un paesino ubicato nella zona meno sviluppata economicamente del paese. In cambio dell’apertura di una bella “fabbrichetta”, il paesino povero e depresso metteva a disposizione del riccone un bel terreno, di decine di migliaia di metri quadrati. Detto, fatto. La “fabbrichetta” aprì e furono assunti centinaia di Pesci Piccoli. Il lavoro non mancava. Tutto sembrava andare per il meglio, quando, dall’altra parte dell’oceano, la mamma del riccone, la Matriarca della Casta degli Industriosi, decise che la “fabbrichetta” doveva essere chiusa, i Pesci Piccoli mandati a casa e la produzione trasferita laddove c’era la Sottocasta degli Schiavetti. I membri di questa Sottocasta avrebbero accettato di lavorare per molto meno della metà del salario dei Pesci Piccoli. Riuscire a svincolarsi dal paesino povero, però, non era per niente facile. Occorrevano tutta una serie d’iniziative: prima, durante e dopo la fuga.

La prima cosa da fare era avvisare la Casta dei Potentoni Locali e quella degli Inviolabili Nazionali. Secondo: restituire il terreno. Terzo: comprare un buon numero d’appartenenti alla Casta dei Capi Bastone, i soli in grado di bloccare le eventuali proteste dei Pesci Piccoli. Quarto: comprare il silenzio del maggior numero di Patriarchi delle Caste degli Inviolabili. Quinto: conquistare, a colpi di “simpatia”, la benevolenza dei grandi mezzi di comunicazione di massa. Sesto: salvare la faccia agli occhi dell’opinione pubblica. Non bisognava dimenticare che avere un’immagine pulita era essenziale per chi voleva fare “affari” in tutta tranquillità. Riuscire a rispettare tutto questo programma non era facile, ma si sarebbe, certamente, trovata una soluzione. La migliore, sembrava, potesse essere quella di vendere la “fabbrichetta”, facendo finta di voler mantenere invariato il livello d’occupazione.

Si presentò uno Squalo Famelico specializzato nell’acquisto d’aziende decotte da utilizzare, poi, per avere finanziamenti dalla gran nazione e per altre complicate operazioni finanziarie. La più importante delle quali era l’eliminazione, dal circuito produttivo, di tanti inutili e fastidiosi Pesci Piccoli. Del resto l’industrializzazione nelle ricche e prosperose nazioni aveva fatto il suo tempo. Eravamo entrati nell’era della speculazione finanziaria. La ricchezza si faceva speculando in Borsa, non producendo obsoleti manufatti, mantenendo e sfamando migliaia d’insaziabili famiglie di Pesci Piccoli. Per queste cose c’erano già le povere nazioni del gran continente. Questo Squalo Famelico, ovviamente, non investì un centesimo del suo capitale (ammettendo che n’avesse mai avuto uno). Con la complicità di amici appartenenti alla Casta delle Caste si fece sovvenzionare l’operazione interamente dalla nazione. Un’immensa quantità di denaro fu stanziata per incentivare l’occupazione nella “fabbrichetta”. In realtà tutti gli “attori” coinvolti nella sceneggiata sapevano benissimo che quei soldi dovevano essere utilizzati per “ungere” le ruote dei carrozzoni che, materialmente, avrebbero consentito il trasferimento della produzione in alcuni poveri e sfortunati paesi lontani.

Ad un certo punto, iniziò, il minuetto d’alcuni Capi Bastone che ricattavano i lavoratori con gli slogan: “Chi non lavora, non fa l’amore” e “Se non accettate, niente soldi a fine mese”. Alcuni importanti mass media, nello stesso tempo, tessevano gli elogi di chi faceva finta di voler aiutare i poveri Pesci Piccoli. Contemporaneamente, si tenevano riunioni su riunioni, alle quali partecipavano i Patriarchi delle Caste degli Inviolabili, molti appartenenti della Casta degli Industriosi e alcuni membri della Casta dei Divoratori, potenti stregoni specializzati nel far “scomparire” operai ed impiegati senza che nessuno se ne potesse rendere conto. Pian piano, sotto lo sguardo allibito delle persone oneste, i magazzini della “fabbrichetta” iniziarono a svuotarsi delle materie prime senza che alcun nuovo rifornimento arrivasse più.

In brevissimo tempo la “fabbrichetta” diventò un guscio vuoto, con dentro solo Pesci Piccoli che non avevano nulla più da fare. Un bel giorno la “fabbrichetta” fu venduta ed insieme con essa fu venduto anche il bellissimo terreno, ubicato alla periferia di un paesello che si stava gradualmente ingrandendo, ed a pochi metri da importanti infrastrutture per la mobilità urbana ed extraurbana. Appena ricomprata la “fabbrichetta”, i nuovi padroni si chiesero: “E ora cosa ne facciamo?”. Decisero di costruire un bel “negozione”. Detto, fatto. Si diedero subito da fare. Iniziarono una procedura, però, che poteva incidere profondamente sulla vita di centinaia d’appartenenti della Casta dei Vendenti.

La storia, ad un certo punto, assunse dei toni da autentica tragedia. Oltre alle famiglie dei Pesci Piccoli che già ci avevano rimesso la pelle, altre famiglie stavano per rimetterci le “penne”. E proprio alcuni appartenenti alla Casta dei Pennuti lanciò l’allarme. La tragedia, per un po’ di tempo, sembrò allontanarsi.

Scesero in campo anche altre Caste. Una di queste: la Casta dai Rossi Vessilli (da non confondere con i Monaci del Myanmar) presentò un ricorso alla Casta dei Giudicanti. Da quel giorno gli appartenenti a tutte le Caste e Sottocaste sembravano aver riconquistato la tranquillità. Tutti meno uno: il Grande Patriarca della Casta degli Eletti. Era sballottato da una parte e dall’altra. Sembrava un sacco da punching ball.

Qualsiasi fosse stato il suo ruolo nella storia, di sicuro avrà più volte esclamato: «Ma chi “Casta” me l’ha fatto fare».

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