“Ghenos-Scylletium”, arrestati “tombaroli” tra Calabria e Sicilia: 12mila reperti archeologici sequestrati

di Redazione

Un colpo simultaneo, da un’isola all’altra, per tagliare i fili di un mercato clandestino che da anni scava nell’ombra e trasforma la storia in merce. I carabinieri del Gruppo Tutela Patrimonio Culturale di Roma, coordinati dalla Procura distrettuale di Catania e dalla Procura antiamfia di Catanzaro, hanno eseguito due ordinanze di applicazione di 56 misure cautelari personali, con operazioni condotte contestualmente in Sicilia e in Calabria e attività estese anche in diverse città italiane.

Il blitz e le misure – L’intervento ha coinvolto le province siciliane di Catania, Messina, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta ed Enna e quella calabrese di Crotone, con deleghe investigative estese anche a Roma, Firenze, Ravenna, Ferrara e Forlì-Cesena. A supporto, oltre all’Arma competente per territorio, hanno partecipato l’8° e il 12° Nucleo Elicotteri carabinieri e gli Squadroni Eliportati carabinieri Cacciatori Sicilia e Cacciatori Calabria.

Due indagini, un’unica rete – Le attività investigative, condotte parallelamente dai Nuclei TPC di Cosenza e Palermo, hanno trovato un punto di confluenza quando è emerso che una squadra di “tombaroli” siciliana, comparsa nell’indagine “Ghenos”, operava sia nella regione d’origine sia in Calabria, in collaborazione con gli indagati dell’indagine “Scylletium”. Da qui la scelta di eseguire contemporaneamente le due ordinanze. Secondo quanto ricostruito, il collegamento conferma l’esistenza di una rete dedita alle attività illecite legate al patrimonio culturale, ambito criminale specializzato per il quale il Comando carabinieri Tutela Patrimonio Culturale opera dal 1969.

L’indagine “Ghenos” – I carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Palermo, coordinati dalla Procura distrettuale di Catania, hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania su richiesta della Procura, nei confronti di 45 soggetti. Le contestazioni, a vario titolo, comprendono associazione per delinquere, violazioni in materia di ricerche archeologiche, impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, impiego di denaro di provenienza illecita, furto e ricettazione di beni culturali, autoriciclaggio, falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali, uscita o esportazione illecita di beni culturali, contraffazione di opere d’arte e ricettazione.

Le misure cautelari – Il provvedimento ha disposto 9 custodie cautelari in carcere, 14 arresti domiciliari, 17 obblighi di dimora (tra cui 8 con obbligo di permanenza notturna in casa), 4 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria (di cui 2 notificati in territorio estero) e 1 sospensione dell’esercizio di impresa a carico del titolare di una casa d’aste. Le attività sono state svolte anche con il contributo del 12° Nucleo Elicotteri carabinieri e dello Squadrone Eliportato carabinieri Cacciatori Sicilia, con deleghe estese fino al Regno Unito e alla Germania.

I reperti e il valore stimato – Nella prima fase investigativa l’indagine aveva portato al sequestro di circa 10mila reperti archeologici, tra cui circa 7mila monete antiche, con esemplari ritenuti rarissimi e di elevato interesse storico-scientifico: emissioni in bronzo e in oro riconducibili a diverse tipologie di conio e a numerose zecche, con cronologie che vanno dalla metà del V secolo avanti Cristo fino all’età ellenistica. Le perquisizioni eseguite nel mese di novembre scorso hanno portato anche alla scoperta, nell’area catanese, di un laboratorio indicato come una “zecca clandestina”, utilizzata per produrre falsi manufatti in ceramica e per contraffare monete, con il sequestro di stampi, strumenti per la colatura, conii e bilancini. Tra i beni sequestrati figurano anche centinaia di reperti fittili, crateri integri a figure nere e rosse, fibule, anelli, pesi, punte di freccia e altri materiali, oltre a circa 60 strumenti predisposti alla ricerca di metalli preziosi, tra cui metal-detectors e arnesi per gli scavi clandestini. Il valore economico complessivo è stimato in 17 milioni di euro.

L’avvio e lo sviluppo internazionale – L’attività investigativa era partita nel 2021 dopo la denuncia della dirigenza del Parco Archeologico di Agrigento per scavi clandestini compiuti dal giugno 2019 nel sito archeologico di Eraclea Minoa, nel territorio di Cattolica Eraclea. La ricostruzione parla di 76 scavi clandestini nelle aree archeologiche siciliane e, in due occasioni, anche nel sito calabrese di Scolacium. Nel corso dell’inchiesta sono stati eseguiti cinque riscontri investigativi conclusi con l’arresto in flagranza di 6 indagati: in un caso, nel 2022, cinque soggetti sarebbero stati sorpresi durante uno scavo clandestino nel sito archeologico di Baucina; in altre circostanze tre indagati sarebbero stati bloccati durante l’esportazione illecita all’estero, con sequestro di monete a Dusseldorf con l’ausilio della polizia tedesca. Le indagini hanno incluso servizi dinamici, acquisizioni di dati di traffico telefonico e telematico, videoriprese, pedinamenti, perquisizioni e sequestri anche in Germania tramite richiesta alla magistratura estera con l’Ordine Europeo di Indagine, fino alla ricostruzione della filiera che, nella struttura definita “archeomafia”, andrebbe dai tombaroli ai ricettatori locali fino ai trafficanti internazionali.

L’indagine “Scylletium” – I carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale di Catanzaro hanno eseguito un’ordinanza di misure cautelari emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura antimafia, nei confronti di 11 persone: 2 in carcere e 9 agli arresti domiciliari. Contestualmente sono state eseguite 12 perquisizioni. Oltre 80 carabinieri sono stati impiegati nelle attività, condotte in sinergia con i comandi provinciali carabinieri di Crotone, Catania e Messina, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e dell’8° Nucleo Elicotteri carabinieri di Vibo Valentia.

I siti e la struttura del gruppo – L’inchiesta, sviluppata dal Nucleo TPC di Cosenza, è stata avviata nell’ottobre 2022 e conclusa nell’ottobre 2024. Secondo quanto ricostruito, avrebbe documentato scavi clandestini e traffico di reperti provenienti da saccheggi condotti nei parchi archeologici nazionali di Scolacium (Roccelletta di Borgia), dell’antica Kaulon (Monasterace) e di Capo Colonna (Crotone), oltre che in aree private della provincia di Crotone. Le condotte sarebbero state documentate con intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, riprese video e sequestri in corso d’opera.

L’aggravante e i linguaggi in codice – Agli indagati viene contestata, a vario titolo, la partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata a scavi illeciti, deturpamento di siti archeologici, furto e ricettazione di beni archeologici, con associazione circostanziata dalla riconosciuta aggravante prevista dall’articolo 416 bis.1 del codice penale: gli inquirenti ritengono che i delitti sarebbero stati commessi anche allo scopo di agevolare la cosca di ‘ndrangheta denominata “Arena”, consolidandone il controllo del territorio a Isola di Capo Rizzuto e nelle aree limitrofe e consentendole di beneficiare dei proventi. Nel corso delle attività, viene riportato, gli indagati avrebbero usato termini convenzionali per mascherare i riferimenti ai reperti, come “finocchi”, “caccia”, “cornici”, “caffè”, “asparagi” o “motosega”, utilizzato per indicare il detector.

I promotori e le perquisizioni – Al vertice dell’organizzazione, nella veste di promotori, vengono indicati due soggetti residenti in provincia di Crotone, descritti come cultori di archeologia e conoscitori dei luoghi. L’ordinanza ha disposto, in provincia di Crotone, 9 misure (2 in carcere e 7 ai domiciliari) e 10 perquisizioni; nelle province di Catania e Messina sono state eseguite 2 misure ai domiciliari e 2 perquisizioni. Le attività di indagine si sono avvalse anche della collaborazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro e Crotone e dell’ausilio della Direzione Regionale Musei Calabria. IN ALTO IL VIDEO

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