Nel quartiere San Paolo di Bari, le riunioni si svolgevano sotto i portici delle case popolari anche nei mesi del lockdown. Mentre la città era paralizzata dalle restrizioni anti-covid, secondo gli investigatori il clan “Strisciuglio” continuava a decidere intimidazioni, pestaggi e sparatorie per difendere i propri affari. Da quelle immagini, immortalate dai carabinieri, nasce l’ordinanza che ha portato all’arresto di 12 persone.
L’operazione e gli arresti – A Bari, Triggiano e in diversi istituti penitenziari nazionali (Lecce, Trani, Larino, Napoli, Lanciano, San Gimignano e Viterbo), i carabinieri del comando provinciale di Bari, con il supporto del 6° Nucleo elicotteri e del Nucleo cinofili di Modugno, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Bari su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Sono 12 i destinatari del provvedimento, ritenuti gravemente indiziati di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsioni, porto e detenzione di armi, ricettazione, lesioni aggravate, accensioni ed esplosioni pericolose, tutti reati aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.
Gli indagati – Il totale degli indagati è 29. In carcere sono finiti: Marco Latrofa, Nicola Schingaro, Nicola Cassano, Luigi Damiani, Marco Siciliani, Michele Annoscia, Gianluca Losurdo, Domenico Di Bari, Cosimo Damiano Fraddosio, Giacomo Stea, Marco Atzori, Luca Pisani e Giuseppe Franco.
L’indagine “Lockdown” – L’operazione, denominata Lockdown e condotta dal Nucleo operativo della Compagnia Carabinieri San Paolo dal settembre 2019 al maggio 2023, rappresenta un approfondimento dell’inchiesta Vortice-Maestrale. Le investigazioni, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia, avrebbero fotografato l’operatività del clan “Strisciuglio” nel rione San Paolo, ricostruendone ruoli, gerarchie e riti di affiliazione.
Summit mafiosi e riti di ingresso – L’ordinanza descrive un’organizzazione strutturata, con un modello interno definito, regole e giuramenti. Sono stati ritrovati manoscritti contenenti formule e rituali necessari per entrare nella “società camorristica”. Anche durante la pandemia, sotto i portici dei palazzi popolari, i carabinieri avrebbero documentato incontri nei quali venivano decise azioni intimidatorie, pestaggi e sparatorie.
Lo scontro con i “Vavalle” – Tra gli episodi indicati nell’impianto accusatorio, emergono le tensioni con la famiglia “Vavalle”, storica antagonista nel quartiere. Nel marzo 2020, il conflitto sarebbe culminato con colpi d’arma da fuoco contro la porta di un bar, un’autovettura e una macelleria della zona.
Droga, armi e la “cassa comune” – Secondo gli investigatori, il clan avrebbe gestito un vasto traffico di stupefacenti, utilizzando luoghi di stoccaggio “occultati e talvolta riconducibili a insospettabili”, indicati come “cupe”. Durante le perquisizioni sarebbero stati rinvenuti ingenti quantitativi di droga, armi da guerra, munizioni e denaro contante. Su alcune banconote sequestrate erano annotati nomi degli affiliati destinatari dei fondi. Il denaro confluiva in una cassa comune, utilizzata per acquistare partite di droga, sostenere le spese legali dei sodali arrestati e il mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie, anche per evitare collaborazioni con la giustizia o avvicinamenti a clan rivali.
La regia dal carcere – Dai penitenziari, i vertici del clan avrebbero continuato a impartire direttive tramite familiari e cellulari detenuti illegalmente. L’organizzazione, descritta come piramidale, prevedeva riunioni settimanali il sabato per la contabilità e la spartizione degli introiti provenienti da tutte le attività illecite. IN ALTO IL VIDEO

