Napoli, minore detenuto coinvolto in sparatoria: parenti vittima tentano di aggredirlo in ospedale

di Redazione

Napoli – Venerdì 3 ottobre, all’ospedale “Pellegrini” di Napoli, un sanitario correttivo si trasforma in un fronte di rischio: il minore detenuto all’Istituto penale per minorenni di Nisida, tradotto per cure urgenti, viene riconosciuto dai parenti di un ragazzo ricoverato in condizioni gravissime, vittima della sparatoria che lo avrebbe visto coinvolto. In pochi istanti, il gruppo tenta di raggiungerlo; la scorta della Polizia Penitenziaria, appena due unità, arretra, mette in sicurezza il minore e chiama rinforzi. Sul posto arrivano Polizia di Stato, Nucleo della Polizia Penitenziaria di Secondigliano e Falchi della Mobile: l’intervento congiunto riporta l’ordine e mette fine alla minaccia. A denunciarlo è Federico Costigliola, coordinatore regionale per il settore minorile in Campania del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe).

La sequenza dei fatti – Il minore, presente in Ipm da circa un mese, porta ancora gravi ferite da arma da fuoco: è allettato, non autosufficiente e necessita di cure costanti. In queste settimane è stato accompagnato frequentemente in ospedale per controlli e complicazioni, con ricadute operative significative sul personale in servizio a Nisida.

Il nodo sicurezza a Nisida – “Va necessariamente evidenziato che il minore tradotto in ospedale è presente in Ipm da circa un mese e, siccome riporta importanti ferite da arma da fuoco, è obbligato a restare allettato senza poter uscire dalla propria cella e necessita di costanti cure mediche”, prosegue Costigliola. “Ciò che desta stupore è pensare come sia possibile che l’Amministrazione assegni in un Ipm collocato in una zona rossa per rischio bradisismico un minore in queste condizioni, che in una eventuale emergenza richiederebbe l’impiego di almeno tre unità di Polizia Penitenziaria, allo stato senza alcuna direttiva operativa solo per portarlo fuori dalla propria cella”.

Criticità strutturali e organici – “È palese che una situazione del genere, qualora dovesse malauguratamente essere gestita in una condizione di reale e improvvisa emergenza, metterebbe a serio rischio l’incolumità del minore, nonché del personale di Polizia Penitenziaria chiamato a svolgere il proprio dovere”, evidenzia Costigliola. “A tal proposito ci chiediamo: è così che l’Amministrazione vuole essere vicina al personale di Polizia Penitenziaria? È così che l’Amministrazione intende gestire un Ipm altamente vulnerabile per la propria collocazione territoriale? A parere del Sappe, tale gestione dimostra che l’Amministrazione reputa infondate le continue richieste di supporto operativo avanzate dalla Direzione e dal Comando di Nisida, il che potrebbe anche essere condiviso se non fosse per le scelte adottate di inviare personale in missione forfettaria in detto Ipm e fare rientrare personale distaccato presso altri servizi del Distretto minorile campano che comunque vivono una carenza organica”.

L’affondo del sindacato – “È arrivato il momento che si faccia chiarezza su come l’Amministrazione intende gestire un Istituto che, a dire della Direzione e del Comando, soffre di una ingestibile carenza organica, ma che, dalle azioni perpetrate dall’Amministrazione, sembrerebbe poter gestire tranquillamente situazioni di emergenza operativa anche di notevole importanza. Il Sappe, intanto, resta accanto alla Polizia Penitenziaria e porge un plauso al personale coinvolto nella vicenda, nonché a tutto il personale operante presso l’Ipm di Nisida che continua a svolgere con grande professionalità e dedizione il proprio mandato istituzionale”, conclude Costigliola.

Il quadro nazionale secondo il Sappe – “Negli ultimi anni è successo spesso: dici carcere minorile e il pensiero va alle scene della fortunata fiction Mare Fuori, ai suoi protagonisti e alle loro storie di amicizia e amore, di rimorsi e voglia di riscatto. Ma la realtà è che quella è soltanto la trama di un film e la realtà incrocia quotidianamente le storie, vere e drammatiche, dei giovani detenuti e le criticità, ancora difficili da risolvere, del sistema penitenziario minorile. Il vero nodo, ultimamente, è la gestione di tanti detenuti stranieri, molti minori non accompagnati e con problemi psichiatrici”, commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Va fatta inevitabilmente un’attenta analisi di quanto sta accadendo nella giustizia minorile, condotta con grande competenza e professionalità dall’attuale Capo Dipartimento Antonio Sangermano”.

“Da molto, troppo tempo arrivano segnali preoccupanti dall’universo penitenziario minorile: è stato allora positivo che nel Decreto Caivano sia stata prevista la possibilità di trasferire i soggetti dai 18 ai 25 nel circuito degli adulti: parliamo di soggetti che danno luogo ad aggressioni, sono incompatibili con il trattamento per i casi specifici dedicati ai minori, creano allarme all’interno degli istituti. Ma non avverrà a prescindere dalla volontà di questi detenuti”. “Quello su cui occorre interrogarsi è sulle cause del forte aumento della devianza minorile: possono incidere modelli imitativi sbagliati, come certi testi estremi di canzoni: la giustizia minorile fa quello che può ma è l’ultimo anello. Opera su chi si è già comportato male. Prima ci sono due cardini che dovrebbero intervenire per prevenire la devianza: la famiglia e la scuola. E soprattutto la famiglia ha un ruolo fondamentale”.

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