Ercolano, rabbia e dolore dopo sentenza su esplosione fabbrica fuochi: “17 anni non valgono tre vite”

di Redazione

“Hanno distrutto la mia famiglia, quello che avevo sempre desiderato, sarà difficile dire a mia figlia quello che è accaduto ma le racconterà sempre di Samuel, spero che non soffra molto”. Con queste parole Rosita Giorgetti, fidanzata di Samuel Tafciu, ha raccontato la ferita che resta aperta dopo la morte del diciottenne nell’esplosione della fabbrica abusiva di fuochi d’artificio di Ercolano, in provincia di Napoli. La ragazza, appena 18enne, è madre di una bambina di un anno mezzo avuta da Samuel.

“La legge non è uguale per tutti: tre ragazzi non valgono 17 anni. Gli imputati dopo avere scontato la loro pena riavranno la loro vita, invece il mio Samuel non tornerà”, ha sottolineato, aggiungendo: “Mi ero costruita una famiglia perfetta provo tanta rabbia perché dovrò dire a mia figlia che il padre non ce l’ha più, erano tanto legati, Samuel era sempre presente per noi. Crescerà senza il padre al suo fianco”.

Le vite spezzate e la protesta al Palazzo di Giustizia – La sentenza, giunta nei giorni scorsi, sullo scoppio della fabbrica abusiva di fuochi d’artificio ha acceso una reazione incontenibile tra i familiari delle vittime, costringendo giudice, pubblico ministero e imputati a lasciare l’aula sotto scorta. Nell’esplosione, avvenuta nel primo pomeriggio del 18 novembre 2024, persero la vita tre giovani lavoratori: il diciottenne Samuel e le gemelle 26enni Aurora Esposito e Sara Esposito. All’esterno del Nuovo Palazzo di Giustizia la famiglia Tafciu ha esposto striscioni durissimi: “Andremo fino in capo al mondo, se servirà, per chiedere giustizia”, “I tre angeli più belli”, con le foto di Samuel, Sara e Aurora; “questa non è legge”; “tre ragazzi di 26 e 18 anni chiusi a chiave in una polveriera senza via di scampo e senza nessuna possibilità di salvarsi”; “17 anni non è una condanna ma una seconda morte”.

Le condanne e le accuse – Il tribunale ha condannato a 17 anni e 6 mesi di reclusione Pasquale Punzo e Vincenzo D’Angelo, ritenuti i datori di lavoro, per triplice omicidio volontario con dolo eventuale e caporalato. A Raffaele Boccia, fornitore della polvere pirica, sono stati inflitti 4 anni per detenzione di esplosivo, così come richiesto dalla Procura. I pubblici ministeri Stella Castaldo e Vincenzo Toscano avevano chiesto 20 anni per Punzo e D’Angelo.

“Non andate a lavorare in nero” – “Abbiamo protestato perché non siamo d’accordo con il giudice per la pena inflitta, siamo parlando di tre vittime giovanissime, purtroppo non possiamo fare nulla perché la legge in Italia è questa, però voglio fare un appello: non andate a lavorare come ha fatto mio figlio Samuel, e le due gemelle Sara e Aurora. Vi chiedo da padre, da fratello, non lavorate in nero e non rischiate la vita come l’hanno persa i nostri ragazzi”. È l’appello di Kadri Tafciu, padre di Samuel, che annuncia battaglia: “Io non mi fermerò, andremo fino in fondo perché gli imputati dopo avere fatto 10 anni di galera usciranno, invece mio figlio non c’è più e ha lasciato una bambina di appena sei mesi, lavorava per lei”. “Da pochi giorni aveva accettato questo lavoro, per 50 euro al giorno – dice ancora Kadri – l’ho saputo solo dopo la tragedia, se l’avessi saputo prima non gliela avrei consentito di lavorare là”. E poi l’ultima frase che riassume la distanza, per la famiglia, tra giustizia e condanna: “La pena giusta sarebbe stata l’ergastolo, dopo 10 anni loro saranno fuori, mio figlio resta sotto terra”.

“Per pochi euro i suoi sogni sono svaniti” – Nel racconto di Rositaresta la figura di un ragazzo che aveva scelto quel lavoro per la famiglia: “Samuel aveva accettato quel lavoro innanzitutto per la sua famiglia. Non pensava di poter correre un rischio e credo che sia stato costretto ad accettare. Non penso fosse formato per fare i fuochi d’artificio. Forse gli hanno detto qualcosa che l’ha spaventato, per questo credo abbia accettato. Aveva un rapporto con Punzo mentre D’Angelo l’ha conosciuto poco dopo. Provo rabbia e delusione perché aveva una vita davanti e per pochi euro i suoi sogni sono svaniti per nulla”. E ancora: “A me piaceva tutto di lui, metteva la famiglia e il lavoro davanti a tutto. Pur di mantenere in maniera dignitosa la sua famiglia, in particolare sua figlia, avrebbe fatto anche il lavoro più umile”.

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