Cesa (Caserta) – Diciassette anni di processi, annullamenti e rinvii si chiudono con una sentenza irrevocabile. La Corte di Cassazione ha messo la parola fine sulla vicenda del tentato omicidio dell’imprenditore Vincenzo Esposito, pronunciando la condanna definitiva per i fratelli Nicola Pota e Salvatore Pota, ritenuti gli esecutori materiali dell’agguato.
La decisione è arrivata ieri sera: la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dai due imputati, rendendo definitive le condanne inflitte nei loro confronti. Si tratta dell’ultimo atto di una lunga e complessa battaglia giudiziaria iniziata nel 2008.
A maggio di quest’anno la Corte di Appello aveva già riconosciuto la responsabilità dei due fratelli, condannando Nicola Pota a 10 anni e Salvatore Pota a 9 anni di reclusione per il tentato omicidio dell’imprenditore edile, conosciuto in paese anche con i soprannomi di “Scuccill” o “Enzuccio ’o parrucchiere”. Con il verdetto della Cassazione, quella sentenza diventa ora definitiva.
L’agguato del 2008 – I fatti risalgono al 20 settembre 2008. All’angolo tra via Volturno e via Turati, a pochi metri dalla sede della Sudgas, Esposito stava rientrando a casa in auto insieme al figlio quando fu affiancato da una moto con a bordo due uomini armati. Partirono diversi colpi: sei proiettili lo raggiunsero al volto, alla nuca e alla spalla. Fu il figlio a soccorrerlo immediatamente e a trasportarlo all’ospedale “Moscati” di Aversa, dove i medici riuscirono a salvarlo nonostante la gravità delle ferite. Tre proiettili vennero estratti nel corso di un delicato intervento chirurgico.
La matrice camorristica – Secondo le indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, l’agguato maturò all’interno di una violenta faida tra clan contrapposti: i “Caterino-Ferriero” e i “Mazzara”. Esposito, considerato “non amico” del gruppo dominante, sarebbe stato colpito proprio per questo. A organizzare l’attentato, come emerso in sede giudiziaria, fu Michele Ferriero, già condannato in via definitiva come mandante, con il supporto di Luca Bove, indicato come lo “specchiettista”, incaricato di segnalare i movimenti della vittima. Nicola e Salvatore Pota sono stati infine individuati come gli esecutori materiali. La ricostruzione si è fondata su intercettazioni ambientali e telefoniche e sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luca Mosca, successivamente assolto per questo specifico episodio.
Un iter giudiziario tortuoso – La vicenda processuale è stata segnata da continui ribaltamenti. Una prima condanna arrivò nel 2017, con rito abbreviato, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, ma venne successivamente annullata dalla Corte di Appello con una sentenza assolutoria. Quel verdetto fu però cancellato dalla Cassazione. Un nuovo processo davanti alla Quarta Sezione della Corte di Appello si concluse nel 2021 con un’altra condanna, anch’essa annullata nel 2022 dalla Suprema Corte, che dispose ulteriori approfondimenti sulle dichiarazioni del collaboratore Mosca. Solo con il nuovo giudizio della Terza Sezione della Corte di Appello di Napoli è arrivata una nuova condanna, ora definitivamente confermata.
Gli imputati sono stati difesi dagli avvocati Carmine D’Aniello, Gaetano Laiso e Nicola Marino. Vincenzo Esposito si è costituito parte civile con gli avvocati Vincenzo Guida e Giovanni Midiocestomarco. Dopo quasi due decenni, per una vicenda aperta nel 2008, la giustizia ha chiuso definitivamente il cerchio.

