Riforma della Giustizia, dal Senato via libera definitivo. Meloni: “Traguardo storico”

di Redazione

Un voto che cambia l’architettura della giustizia italiana: il Senato ha approvato in quarta e ultima lettura la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Il disegno di legge passa con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni. Come prevede la Costituzione, non essendo stato raggiunto il quorum dei due terzi, l’ultima parola spetterà ai cittadini con un referendum confermativo. In Aula, prima del voto, La Russa dispone l’accertamento del numero legale; subito dopo l’esito, applausi dai banchi del centrodestra, mentre le opposizioni espongono cartelli con la scritta “no ai pieni poteri”.

Il voto e l’Aula – Quarto e ultimo passaggio parlamentare, con numeri che certificano una maggioranza solida ma distante dalla soglia che avrebbe evitato il referendum. La verifica del numero legale ordinata dal presidente La Russa blinda il percorso verso il voto finale. Il clima politico resta teso: Pd, M5s e Avs inscenano la protesta con i cartelli, il centrodestra applaude all’approvazione.

Meloni: “Traguardo storico” – «Oggi, con l’approvazione in quarta e ultima lettura della riforma costituzionale della giustizia, compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini». Così su X la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani. Governo e Parlamento hanno fatto la loro parte, lavorando con serietà e visione. Ora la parola passerà ai cittadini, che saranno chiamati ad esprimersi attraverso il referendum confermativo. L’Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento, per il bene della Nazione e dei suoi cittadini. Perché un’Italia più giusta è anche un’Italia più forte».

Tajani: “Giustizia al servizio del cittadino” – Per il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani è «una giornata storica». «Finalmente è arrivato a conclusione il percorso legislativo per la riforma della giustizia, una giustizia al servizio del cittadino. Non contro i magistrati che, anzi, innalza il ruolo del giudice giudicante, ma accusa e difesa avranno gli stessi poteri. Anche il Csm non sarà più politicizzato, quindi non ci saranno scontri fra correnti ma ci sarà veramente un’amministrazione più serena, tutto a vantaggio del cittadino». Un passaggio anche al lascito del fondatore di Forza Italia: secondo Tajani, «si realizza il sogno di Silvio Berlusconi di una giustizia giusta». E sul voto popolare: «Adesso aspettiamo il referendum, saremo impegnati per sostenere il Sì. Non sarà certamente una scelta a favore o contro il governo ma una scelta sul testo della riforma. Saranno i cittadini a decidere: decideranno se vorranno una giustizia più giusta o se vorranno lasciare le cose com’erano prima».

Nordio: “Referendum tra marzo e aprile” – Il ministro della Giustizia Carlo Nordio parla di «inizio della fine»: «Questo è l’inizio della fine, il prossimo step sarà il referendum e mi auguro che venga mantenuto in termini razionali e non venga politicizzato». Disponibilità a un confronto tv con i magistrati dell’Anm: «Sono ben lieto di confrontarmi con chiunque nell’ambito di un incontro uno a uno». Sulle tempistiche, Nordio annuncia l’orizzonte «tra marzo e aprile». E rivendica l’opzione referendaria: «Vogliamo il referendum perché è una materia così importante e sensibile che è giusto che si consultino i cittadini. Non abbiamo paura. L’ultimo ossimoro è dire che facciamo un attentato alla Costituzione quando è la stessa che dice che può essere modificata e cambiata infine con un referendum».

Le critiche di Conte – Dura la reazione del leader M5s Giuseppe Conte: «Al governo prendono schiaffi su ogni progetto. Dovrebbero guardarsi allo specchio e riconoscere la loro incapacità. E dovrebbero soprattutto rispettare i controllori indipendenti». E ancora: «Il governo ha l’obiettivo politico di sottrarsi a qualsiasi controllo della magistratura, a pesi e contrappesi. C’è anche il progetto costituzionale del premierato: rivendicano dei pieni poteri e non sono insofferenti lacci lacciuoli e controlli. Ogni volta si scontrano anche con la Corte di giustizia europea, con la Corte penale internazionale a qualsiasi livello, e ogni volta misurano la loro incapacità oltre che la loro arroganza. A questo punto gli unici che posso interrompere questo disegno, visto che noi con tutto l’impegno non abbiamo i numeri in Parlamento, sono i cittadini con il referendum».

La posizione dell’Anm – La Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati critica la riforma Nordio: «Altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Una riforma che non rende la giustizia più rapida o più efficiente ma la rende più esposta all’influenza dei poteri esterni. Una riforma che non aumenta il numero dei magistrati che resta tra i più bassi in Europa, né colma le lacune dell’organico amministrativo. Una riforma che non investe risorse per far funzionare meglio il sistema giustizia ma rischia al contrario di triplicare i costi con lo sdoppiamento del Csm e l’istituzione dell’Alta corte disciplinare. Le nostre preoccupazioni sono peraltro condivise anche dal relatore speciale sull’indipendenza di giudici e avvocati delle Nazioni Unite».

Il cuore della riforma: carriere separate – Il disegno di legge costituzionale n. 1917 introduce la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. Finora era consentito il passaggio da un ruolo all’altro: questa possibilità viene abolita. Giudici e pubblici ministeri seguiranno due percorsi autonomi, ciascuno regolato da un proprio Consiglio superiore. Secondo i promotori, la modifica garantisce maggiore terzietà dei giudici e un equilibrio più netto tra chi giudica e chi accusa; per l’opposizione, rischia di indebolire la magistratura requirente e di ridurre le garanzie di indipendenza complessiva. Il provvedimento interviene sul piano costituzionale: i dettagli applicativi saranno definiti da una successiva legge ordinaria.

Due Csm distinti e sorteggiati – Nascono due Consigli superiori della magistratura: uno per i magistrati giudicanti e uno per i requirenti. Entrambi sono presieduti dal Presidente della Repubblica e comprendono di diritto, rispettivamente, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono estratti a sorte: un terzo tra professori ordinari di materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di esercizio, scelti da un elenco predisposto dal Parlamento; due terzi tra i magistrati della rispettiva categoria. I consiglieri restano in carica quattro anni e non possono partecipare al sorteggio successivo. L’obiettivo dichiarato è comprimere il peso delle correnti e rendere l’autogoverno meno condizionato da meccanismi elettivi.

L’Alta Corte disciplinare – È istituita una nuova Alta Corte di giustizia disciplinare, competente a sanzionare le violazioni dei magistrati. Sarà composta da 15 giudici: 6 magistrati giudicanti, 3 requirenti e 6 membri esterni (professori universitari e avvocati con almeno vent’anni di esperienza). Tre di questi membri sono nominati dal Presidente della Repubblica, tre estratti a sorte da un elenco predisposto dal Parlamento e gli altri selezionati tra i magistrati con almeno vent’anni di servizio. Il presidente dell’Alta Corte è eletto tra i giudici designati dal Capo dello Stato o tra quelli estratti dal Parlamento. Mandato di quattro anni, non rinnovabile. La nuova istituzione sostituisce il sistema disciplinare interno al Csm, con l’obiettivo di rafforzare imparzialità e trasparenza.

Le decisioni e i ricorsi – Le sentenze dell’Alta Corte non sono impugnabili in Cassazione: l’unico rimedio è il ricorso davanti alla stessa Alta Corte, che giudicherà in secondo grado con un collegio diverso da quello di primo. Una legge ordinaria definirà in dettaglio gli illeciti disciplinari, le sanzioni, la composizione dei collegi, il procedimento e il funzionamento dell’organo.

Referendum confermativo e calendario – Con il via libera del Senato, la riforma è definitivamente approvata dal Parlamento ma, in assenza dei due terzi, dovrà essere confermata dal corpo elettorale. Fonti di governo indicano la primavera del 2026 per la consultazione, mentre Nordio ha parlato di una finestra tra marzo e aprile. Le procedure per indire il referendum possono essere attivate da un quinto dei parlamentari di una Camera, da 500mila elettori o da cinque Consigli regionali.

Le leggi attuative – L’ultimo articolo del testo prevede che, entro un anno dall’entrata in vigore (che scatterà solo dopo l’eventuale esito favorevole del referendum), il Parlamento approvi le leggi attuative: norme chiamate a definire operativamente i nuovi Consigli superiori, l’Alta Corte e la separazione dei percorsi di carriera. Fino all’adozione dei nuovi testi, restano valide le regole attuali per evitare vuoti normativi. Il passaggio al nuovo assetto avverrà dunque in modo graduale e scandito.

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