Un altare, le fedi, l’abito bianco. Ma per lo Stato quel vincolo “non è mai esistito”. È la parabola di Loredana e Giuseppe, sposati nel 2009 al Santuario della Madonna di Montalto, a Messina: un matrimonio valido solo per la Chiesa, invisibile all’anagrafe.
Il nodo della trascrizione mancata – Come riportato da Il Messaggero, tutto nasce da un errore amministrativo: il parroco non trasmise l’atto al Comune entro i termini. Senza quella formalità, la celebrazione religiosa non ha prodotto effetti civili. Pochi mesi dopo, quando la coppia prova a separarsi, scopre che in sede civile non può farlo perché, per l’ordinamento, non risulta sposata.
La battaglia legale – Per ottenere lo “status matrimoniale” necessario alla separazione, Loredana tenta la trascrizione tardiva, ma Giuseppe si oppone dal 2010. Lei, che aveva acceso finanziamenti per cerimonia e arredo della casa (oltre 66mila euro), cita in giudizio l’ex marito, il parroco e la Curia, chiedendo danni patrimoniali e morali. Nel 2019 il Tribunale di Messina respinge: il diniego non integra un illecito. Nel 2023 conferma la Corte d’Appello: nessun obbligo di consenso può essere imposto e il pregiudizio economico non è provato.
La decisione della Cassazione – Il 2 settembre 2025 la Suprema Corte deposita l’ordinanza numero 24409/2025: ricorso inammissibile. Il principio viene ribadito con nettezza: la legge 121/1985 consente la trascrizione successiva di un matrimonio religioso, ma solo con il consenso di entrambe le parti; il rifiuto del coniuge non è “atto contrario al diritto” e non lede un diritto soggettivo tutelato.
Cosa prevede la legge – Il matrimonio canonico è idoneo a produrre effetti civili soltanto se, entro cinque giorni dalla celebrazione, il parroco presenta domanda scritta al Comune. Se ciò non avviene e trascorre tempo, si determina una “cesura” tra l’atto religioso e la volontà di attribuirgli valore civile: quella volontà non può essere ricavata implicitamente ex post, né imposta contro il dissenso di una delle parti.
L’esito – Per Loredana niente separazione civile (manca il presupposto: il matrimonio trascritto) e niente risarcimento; per Giuseppe la facoltà di non prestare il consenso resta intatta. La storia si chiude dove era iniziata: all’altare, ma non nei registri dello stato civile.