di Pasquale Giuliano (già senatore della Repubblica) – A due mesi dalle elezioni regionali in Campania, il centrodestra continua a rimirarsi allo specchio e ancora non esprime un candidato ufficiale. A questo punto non è più una semplice questione di ritardo: si rischia di trasformare l’attesa in un esercizio di vuoto politico, privo di visione, di coraggio e di rispetto per gli elettori.
Eppure, il contesto è favorevole. La domanda di cambiamento è profonda e trasversale. Ma nulla può essere dato per scontato. Senza un candidato autorevole, credibile, in grado di parlare a più mondi e di tenere insieme le sensibilità della coalizione senza scadere nella mediazione al ribasso, si corre il rischio di gettare alle ortiche una competizione apertissima.
In un passaggio politico che potremmo definire cruciale, la Campania si trova a un bivio che non tollera né ambiguità, né scorciatoie, né temporeggiamenti. La scelta del candidato alla guida del governo regionale – o, più in generale, di una figura di riferimento per l’alternativa – non può rispondere a giochi di autoconservazione interna, né alla stanca coreografia degli equilibri tra correnti, sotto-correnti e micro-alleanze, né tanto meno a veti di sedicenti autocrati del territorio.
La Campania ha conosciuto momenti alti di pensiero politico e ha espresso classi dirigenti capaci di incidere ben oltre i confini regionali. Oggi è chiamata a uno scatto di consapevolezza. Non è più tempo di nomi “protetti”, né di soluzioni di continuità o di compromesso al ribasso. Serve un atto di coraggio. Una scelta netta. Un’ambizione alta. In questo scenario, la candidatura di Roberto Fico appare più come un esperimento di ingegneria interna alla sua coalizione (pacificatrice, forse, negli intenti, ma elettoralmente assai fragile) che non una risposta capace di parlare al cuore e alla mente della società campana e di assumere la leadership sul territorio. Il suo profilo, legato solo ad una datata appartenenza alla sfera parlamentare e a una militanza ormai più simbolica che attiva, non incarna l’urgenza di un radicamento vero, di una proposta politica che parli al cuore, ma soprattutto alla mente della società campana, ai suoi bisogni, alle sue contraddizioni, alle sue speranze, e anche ai suoi “vizi”.
La Campania, per storia e per complessità, non può essere guidata da figure percepite come “imposte”, o come frutto di assetti costruiti nei salotti romani o di esigenze di mera immagine. Una regione che è stata laboratorio politico, culla di elaborazioni culturali e oggi epicentro di complesse fragilità, ma anche di nuove opportunità e speranze, richiede un rappresentante in grado di interpretarle e non un testimonial destinato ad assolvere esigenze meramente ornamentali. C’è la necessità di un profilo che unisca visione e concretezza, autonomia e autorevolezza, carisma e competenza amministrativa.
Oggi esiste, per la prima volta dopo anni, una possibilità concreta di costruire un’alternativa ad un passato da dimenticare e ad un possibile e malaugurato futuro di continuità. Questa opportunità, però, non passa attraverso la sommatoria di simboli o il compromesso tra le variegate anime di una coalizione. Passa, invece, dalla capacità di proporre un candidato che sappia raccogliere consenso largo, civico, trasversale e che sappia parlare al corpo vivo della società campana: giovani, professionisti, imprese, periferie, mondi della cultura e della formazione, nuove energie che per partecipare aspettano solo un segnale di serietà e di visione.
La credibilità, oggi, è la chiave di volta, che però non si costruisce a tavolino e ad horas. Né si impone o si attribuisce per bisogno o per necessità di quieto vivere. Si guadagna, sul campo, con l’ascolto, la coerenza e con la presenza e la partecipazione attiva alle dinamiche del territorio. L’intellighenzia campana, quella che ancora crede nella politica come servizio e nel Sud come progetto, ha il dovere di farsi sentire e di pretendere scelte qualificate e all’altezza della sfida. Non può e non deve più accontentarsi del “meno peggio” né, tanto meno, può ancora essere costretta a “turarsi il naso”. Deve, con lucidità, rifiutare ogni opzione che risulti percepita come figlia di un automatismo, di un “accordicchio” di necessità, e non come risposta a un’esigenza storica. In gioco, in questo momento, non c’è solo una candidatura. C’è l’idea stessa di che cosa vuole essere la classe dirigente campana nei prossimi anni. Ed è una domanda alla quale non si può né si deve più rispondere con mezze misure, con mezze figure o, per dirla con Crozza-De Luca, con “personaggetti” da vetrina. Titolati o meno che siano.