‘Ndrangheta, 97 arresti in tutta Italia: “Patto tra politica e clan per voti in cambio di favori”

di Redazione

È scattata all’alba la vasta operazione dei Carabinieri che ha inferto un duro colpo alla ‘ndrangheta, svelando un’organizzazione strutturata e capillare, capace di operare su scala nazionale e internazionale. L’inchiesta, denominata “Millennium” e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, ha portato all’esecuzione di 97 misure cautelari in numerose città italiane, da Milano a Roma, da Bologna a Nuoro, fino a Rimini, Torino e Agrigento. L’operazione, condotta dal Comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria con il supporto dei Ros, dello Squadrone Eliportato Cacciatori, del 14° Battaglione “Calabria”, del Nucleo Cinofili, dell’8° Nucleo Elicotteri e dell’unità Ican dell’Interpol, ha coinvolto anche altre forze su scala territoriale.

Nel mirino degli inquirenti alcune delle più potenti cosche della provincia reggina, tra cui quella degli Alvaro di Sinopoli. A finire in carcere, tra gli altri, anche Cosimo Alvaro, detto “Pelliccia”. I reati contestati, a vario titolo, vanno dall’associazione mafiosa al traffico internazionale di stupefacenti, dall’estorsione al sequestro di persona, fino allo scambio elettorale politico-mafioso.

Secondo la Dda reggina, guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo, il sistema era retto da un’alleanza sovraordinata tra clan, capace di coordinare le attività illecite delle singole articolazioni sul territorio, in particolare nel monopolio dello spaccio di droga. Un “modello unitario” che ricorda, per struttura e metodo, quello già emerso nell’operazione “Crimine” del 2010. “La struttura non è cambiata – ha dichiarato Lombardo in conferenza stampa – La ‘Provincia’, come componente apicale della ‘ndrangheta, continua a esistere. Non è finita con l’operazione ‘Crimine’”.

Tra i destinatari della misura cautelare figura l’ex assessore regionale calabrese Pasquale Tripodi, finito agli arresti domiciliari. Nei suoi confronti, tuttavia, è stata esclusa l’aggravante mafiosa. Non sono gli unici nomi noti dell’inchiesta: Sebastiano Romeo, ex consigliere regionale del Partito Democratico, e Alessandro Nicolò, ex esponente di Fratelli d’Italia, sono indagati in stato di libertà. Quest’ultimo è già sotto processo per la precedente inchiesta “Libro Nero”.

Particolarmente preoccupante lo scenario emerso sul piano politico: gli investigatori hanno rilevato la presenza di figure che, durante le elezioni regionali del 2020 in Calabria, avrebbero stretto patti con clan locali per garantirsi pacchetti di voti in cambio di incarichi o favori. “Non parliamo di politici in carica – hanno chiarito gli inquirenti – ma di soggetti che hanno fatto campagna elettorale in quel contesto”. Di rilevanza anche il sequestro preventivo di due società attive nei settori della ristorazione e dell’edilizia, ritenute strumentali alle attività dell’organizzazione criminale. Secondo le indagini, sarebbero state utilizzate per agevolare traffici e movimentazioni di capitali illeciti.

A sottolineare la gravità del quadro è stato anche il sostituto procuratore nazionale antimafia Sandro Dolce, che ha definito l’inchiesta “una fotografia attualizzata dell’unitarietà della ‘ndrangheta”. Preoccupato anche il procuratore aggiunto Walter Ignazitto, che ha parlato di “pervasività a 360 gradi” delle cosche nella provincia di Reggio Calabria, mettendo in luce il fenomeno del “baratto elettorale” messo in piedi da una vera e propria “squadra” di raccoglitori di voti al servizio del miglior offerente, senza vincoli di partito. Il procuratore aggiunto Stefano Musolino, invece, ha evidenziato la resilienza del clan Alvaro, capace di mantenere il controllo su vasti territori nonostante i colpi inferti in passato dalla giustizia. “Questa persistenza – ha detto – interroga la società civile. Se non c’è un investimento culturale e istituzionale nei territori, difficilmente si riuscirà a scardinare questo sistema”.

Sull’operazione è intervenuto anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha espresso il proprio apprezzamento per l’impegno delle forze dell’ordine: “Un risultato importante che conferma la determinazione delle istituzioni nella lotta alla criminalità organizzata. Nessun territorio sarà mai abbandonato. Lo Stato non arretra”.

Il comandante generale dell’Arma, Salvatore Luongo Buongiorno, ha parlato di “un’attività che ha raggiunto un risultato di grande rilievo”, mentre Lombardo ha sottolineato l’importanza delle intercettazioni nelle indagini: “Se un solo carabiniere avesse dovuto ascoltare tutto il materiale raccolto, ci avrebbe impiegato 233 anni”. Parole che descrivono con chiarezza la portata dell’inchiesta Millennium e al tempo stesso la persistenza del fenomeno mafioso, non solo nelle zone storiche della ‘ndrangheta ma nell’intero Paese. “Loro sono ancora qui – ha concluso Lombardo – ma ci siamo anche noi a dare risposte che non sono per niente scontate. Oggi poniamo le premesse per risposte definitive, che arriveranno alla fine del percorso processuale”.

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