Premierato, Giuliano: “Attenzione al rischio di onagrocrazia”. E su legge elettorale invoca le preferenze

di Redazione

di Pasquale Giuliano, già Senatore della Repubblica e Sottosegretario alla Giustizia – Nel giro di qualche anno, tra la fine del 2020 e gli inizi del 2022, sono state approvate ed entrate in vigore ben tre leggi di riforma della Carta Costituzionale che hanno inciso in maniera profonda su rilevanti punti del nostro primario assetto ordinamentale. – continua sotto –

La prima ha ridotto il numero dei deputati da 630 a 400 e quello dei senatori elettivi da 315 a 200; con la seconda, per incentivare la partecipazione dei giovani alla vita politica, è stata portata a diciotto anni, rispetto ai previgenti venticinque, l’età per eleggere i componenti del Senato della Repubblica; la terza ha (finalmente) inserito la tutela dell’ambiente della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali tra i princìpi fondamentali della Costituzione.

Innestandosi su questa scia riformista, poche settimane fa il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di revisione costituzionale finalizzato, tra l’altro, a introdurre l’elezione diretta del presidente del Consiglio: il cosiddetto premierato ovvero il Sindaco d’Italia, come suggestivamente si preferisce dire. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, presentando la proposta, l’ha definita “la madre di tutte le riforme”. In effetti, la legge, con i suoi cinque articoli, prefigura una vera e propria rivoluzione per il nostro Paese. Però è ancora presto per esprimere sul relativo articolato un ponderato giudizio di valore adeguatamente motivato. Le problematiche e gli effetti connessi a quello che rappresenta uno stravolgimento di alcuni punti nodali del nostro fondamentale impianto ordinamentale e dei suoi pesi e contrappesi sono numerosi, di particolare e delicata complessità ed esigono pertanto di essere seriamente studiati e approfonditi.

D’emblée, all’evidenza, si può solo dire che con la riforma si intende innanzitutto rafforzare il capo del governo con una legittimazione popolare. A fronte di questo immediato riscontro, però, con i tempi che corrono, con la crisi dei partiti, la scomposta e condizionante incursione dei social e l’ormai patologico ma costante allontanamento dell’elettorato dalla politica, bisogna anche responsabilmente chiedersi se si è disposti e preparati al non teorico rischio di trovarsi eletto un premier come il comico Beppe Grillo. Il quale, non va trascurato, pochi anni fa riuscì ad affollare e movimentare le piazze e a farsi passare – incredibile a dirsi – per un carismatico innovatore e un illuminato “rivoluzionario”; tant’è che alle elezioni del 2018 il suo Movimento trionfò con percentuali mai raggiunte neppure dalla Democrazia Cristiana nel suo periodo di maggiore consenso: in Campania, addirittura, i 5 stelle sfiorarono la stratosferica percentuale del 50%. – continua sotto –

Quella risposta del “popolo”, però, va considerata e responsabilmente valutata poiché consentì al movimento politico che ne fu l’espressione di partorire, oltre alle sue non poche “nefandezze” politiche, inimmaginabili ministri come, solo per fare qualche nome, Di Maio, Bonafede, Toninelli, Lezzi, Azzolina. Quest’ultima, per intenderci, è colei che in tempo di Covid acquistò per centinaia di milioni gli ormai famosi e mai utilizzati banchi di scuola con le rotelle. La Lezzi, per parte sua, fu quella che a Taranto voleva sostituire l’Ilva, il nostro maggiore produttore di acciaio, con un impianto di mitilicoltura (cozze). Parlare, poi, di Toninelli, Di Maio e Bonafede e delle loro funamboliche gaffe significherebbe raccontare una gara tra capocomici.

Sulla riforma, il centrosinistra, ora relegato all’opposizione, ha levato al cielo le sue lamentazioni e reclama (giustamente) un coinvolgimento e un’approvazione allargata della riforma. Al centrosinistra, però, va ricordato che nel 2001, quando era al governo, ragionava in maniera opposta. A pochi giorni dalla fine di quella legislatura, infatti, da solo, con appena tre-voti-tre di differenza, incurante della ferma opposizione del centrodestra e di gran parte dei costituzionalisti, si ostinò ad approvare modifiche al titolo V° della nostra Carta che hanno rovinosamente alterato le articolazioni istituzionali e territoriali del Paese; tanto, ad esempio, che le Regioni, uscite da quella sciagurata riforma ingigantite di competenze, poteri e risorse, vengono ora individuate quasi da tutti (soprattutto perché ritenute centri di sperperi e di un clientelismo selvaggio) come disastrosi e malsani enti da cancellare.

Ma queste sono riflessioni e rilievi che andranno mossi e articolati quando, nel corso del confronto parlamentare, si definiranno e si chiariranno i non pochi e pesanti interrogativi che solleva la novità costituzionale in discussione. Già da ora, comunque, si può fare un’annotazione a margine delle affermazioni di coloro che, tra l’altro, hanno subito “malignato” affermando che la riforma e la nuova legge elettorale che dovrà conseguentemente essere riscritta (comunque, anche in caso di fallimento del disegno di legge governativo) servirebbero a fare consolidare e durare l’attuale governo a guida destra-centro. – continua sotto –

A costoro va intanto fatto presente che da ben trenta anni storia e cronaca ci hanno insegnato che chi ha “brigato” e messo mano ad una legge elettorale per modellarla pro domo sua, alla fine non ha ottenuto i risultati sperati; anzi, ne è rimasto danneggiato o addirittura schiacciato. E questo è un dato fattuale obiettivo e non certo una semplice pulsione apotropaica da liquidare sbrigativamente con sufficienza o intolleranza. Basta, infatti, tenere presente le conseguenze subite dai partiti che si affannarono, nel 1993, a sostituire (anche a seguito del referendum Segni) il sistema proporzionale con il Mattarellum, questo, nel 2005, con il Porcellum, salvo poi a cancellarlo nel 2017 per affidarsi al Rosatellum di Matteo Renzi. Il quale, benché prestigiatore e illusionista politico di fiuto, neanche lui si sottrasse alla tentazione di farsi la “sua” legge elettorale, la quale fu appunto battezzata Rosatellu, dal nome di Ettore Rosato, il deputato renziano che ne fu relatore. Ma alle elezioni del 2018, invece che restarne favorito, ne fu travolto insieme a tutti i partiti che avevano condiviso e votato il nuovo sistema elettorale. Il “popolo”, infatti, assegnò una strabiliante maggioranza ai seguaci di Beppe Grillo, che, da comico, affidò il Paese nelle mani di una classe politica degna di calcare il palcoscenico del teatro dell’assurdo o, meglio, dell’avanspettacolo. Quella compagine governativa, con i suoi “fantasmagorici” ministri grillini ha però dimostrato che a volte anche la democrazia, in alcune sue imprevedibili espressioni, può portare improvvisatori, incompetenti, inoccupati o sottoccupati e cacciatori di poltrone a decidere le sorti di una Nazione.

Da ultimo, nel 2022, sempre con il Rosatellum, ha vinto Giorgia Meloni, che, comunque, anche lei, sarà ora chiamata a proporre una nuova, ma, si spera, soprattutto innovativa e “democratica” legge elettorale. È infatti convinzione generale che, se si vuole veramente coinvolgere e fare appassionare il “popolo” alla Politica, è necessario, per una vera e sana democrazia, riservare ai cittadini la scelta di chi votare; cosa che consentirebbe, tra l’altro, di avere un Parlamento non più occupato in grande parte da eletti voluti dai capipartito solo per la loro impalpabilità meritocratica e disposti a fare gli yesman.

Insomma e in estrema sintesi: “ritoccare” la legge elettorale con l’aspettativa di avvantaggiarsene comporta quasi sempre l’effetto di restarne delusi o danneggiati o addirittura travolti: illuminante e ricorrente caso di eterogenesi dei fini. Non va poi trascurato, quanto ad una ipotesi di democrazia diretta, che, pur senza evocare spettri o anatemi, a volte (speriamo mai) un siffatto sistema, se non saggiamente regolamentato e “calibrato”, rischia di trasformarsi, come ammoniva Benedetto Croce, in onagrocrazia (icastico neologismo creato dal filosofo); che si verifica quando gli asini si contano, scoprono che sono maggioranza rispetto ai cavalli di razza e occupano tutto quanto c’è da occupare. In questo ultimo malaugurato caso, purtroppo, i nobili e stimolanti nitriti vengono sostituiti solo da assordanti e dannosi ragli.

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