Gricignano, tragico parto trigemellare: a giudizio patron e medici della Pineta Grande per la morte di Francesca Oliva

di Antonio Taglialatela

Rinviati a giudizio il patron della Clinica Pineta Grande, Vincenzo Schiavone, e tre medici per la morte di Francesca Oliva, la 29enne di Gricignano deceduta per setticemia nel maggio 2014, insieme a due dei tre gemellini che portava in grembo, durante il parto avvenuto nella struttura ospedaliera casertana di Castel Volturno. – continua sotto –

Si tratta di un altro procedimento giudiziario sul caso, dopo un primo processo, riguardante l’accusa di omicidio colposo, conclusosi con l’assoluzione con formula piena di 14 medici in servizio alla Pineta Grande e all’ospedale di Giugliano (Napoli) che avevano avuto in cura la Oliva durante i ricoveri nelle rispettive strutture. La prima udienza è stata fissata per il prossimo 13 novembre.

Insieme a Schiavone, il gup Dello Stritto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha mandato a processo Stefano Palmieri, primario del reparto di Ginecologia, e i due ginecologi Gabriele Vallefuoco e Giuseppe Della Donne, in servizio alla Pineta Grande nel periodo in cui era stata ricoverata la paziente. Il pm Cozzolino aveva chiesto il giudizio anche per due addetti al servizio informatico ma per loro si è verificato un vizio di notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Parti civili sono i familiari della Oliva, rappresentati dell’avvocato Raffaele Costanzo, e il dottor Renato Bembo, rappresentato dall’avvocato Lara Vastarella, tra i medici assolti nel processo per omicidio colposo e stavolta parte lesa in questo procedimento. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Giuseppe Stellato, Claudio Sgambato, Laura Serpico, Gianfranco Antonelli, Luigi Vallefuoco e Paolo Maria di Napoli.

Sono tutti accusati di falsità materiale in concorso, in quanto, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero alterato e falsificato (Schiavone e Palmieri quali istigatori, Vallefuoco e Delle Donne quali esecutori materiali) la cartella clinica informatica della paziente, ricoverata il 22 maggio 2014 a causa dell’aggravarsi dei sintomi (algie pelviche, dispnea, febbre intermittente) conseguenti a minaccia di parto prematuro e infezione da corionamnionite (causata da infiammazione delle membrane fetali, ndr.), e deceduta due giorni dopo, alle 5 del mattino del 24 maggio. – continua sotto –

Il nodo principale è la somministrazione dell’antibiotico Unasyn che i medici, secondo i documenti ufficiali della clinica, avrebbero dato a Oliva ma che, invece, stando all’accusa, sarebbe stato inserito solo successivamente nella cartella clinica. Dopo il decesso, tramite un accesso al database, si sarebbe proceduto alla cancellazione dell’annotazione “malessere generale” e della prescrizione dell’Unasyn, entrambe effettuate dal dottor Bembo la mattina del 23 maggio 2014. Alle 5.47 del 24 maggio veniva retrodatata al 22 maggio la nota del ricovero a cui veniva aggiunta la descrizione relativa ad una “gravidanza indotta con Fivet, paziente sottoposta a cerchiaggio”, e al fatto che gli esami evidenziavano “leucocitosi, neutrofilia praticato in ecografia”. Ad essere modificata, il giorno del decesso, anche la descrizione della visita ostetrica del 22 maggio con un “non si apprezzano perdite atipiche”. Retrodatata al 22 maggio la prescrizione dello “Unasyn” quando la sera di quel giorno era stata somministrata alla paziente solo una compressa del ritenuto meno efficace “Amplital”, prescritto dal dottor Delle Donne al momento dell’ingresso della ragazza in clinica; farmaco sostituito nel pomeriggio del 23 maggio.

Il solo primario Palmieri è imputato anche per falsa testimonianza poiché, dinanzi al giudice monocratico, Roberta Carotenuto, avrebbe raccontato falsamente che, dopo la morte della paziente, in occasione dei vari colloqui con il dottor Delle Donne, aveva appreso che questi, in qualità di sanitario che aveva avuto in cura la ragazza il 22 maggio 2014, le aveva prescritto prima l’Amplital e poi l’Unasyn, rispettando le linee guida prescritte per casi analoghi, pur essendo ben consapevole, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, che l’Unasyn non era mai stato prescritto dallo stesso medico alla paziente e che la cartella clinica era stata falsificata.

Il caso – Francesca Oliva morì per setticemia il 24 maggio 2014. Nel suo grembo c’erano tre gemelli. Solo uno, una femmina, riuscì a sopravvivere. Seguita durante la gravidanza dal ginecologo Sabatino Russo (nel frattempo deceduto prima del rinvio a giudizio, ndr.), la ragazza era stata ricoverata prima all’ospedale di Giugliano (prima dall’8 al 14 maggio, tornandovi il 19 ma venendo subito dimessa dallo stesso Sabatino) e poi alla clinica di Castel Volturno il 22 maggio. Dopo le minacce di aborto, il suo medico, il 7 maggio, le aveva praticato un cerchiaggio cervicale a fronte della presenza di una significativa leucocitosi con neutrofilia del 77 per cento, emersa dagli esami del sangue. Era in atto una contaminazione batterica. Qualche giorno dopo, uno dei suoi tre bambini, il maschietto, morì. Nessuno, però, se ne accorse, nonostante l’ecografia eseguita. Con l’aggravarsi delle sue condizioni, il 22 maggio venne trasferita d’urgenza alla clinica Pineta Grande. La febbre altissima venne curata con antibiotici ritenuti inidonei. Il 23 maggio si decise, infine, di operare il cesareo, per far nascere i bambini alla venticinquesima settimana di gestazione. Il maschietto era già morto, mentre una delle due femmine, Giorgia, superata la fase del parto, morì dopo 24 ore per scarsa maturità dell’apparato respiratorio. L’unica sopravvissuta fu una bambina, Maria Francesca, trasferita all’ospedale “Santobono” di Napoli e salvata dai medici di quella struttura.

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