Mafia, un altro colpo al mandamento di Ciaculli e Brancaccio: 31 arresti

di Redazione

Mafia, estorsioni, droga e armi. Queste le accuse formulate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha coordinato un blitz con 31 arresti: 29 indagati sono finiti in carcere, due ai domiciliari. Il blitz, portato a termine da polizia e carabinieri, ha colpito il mandamento mafioso di Brancaccio, che comprende le famiglie mafiose del quartiere alla periferia est del capoluogo siciliano, quella di corso dei Mille e di Roccella. – continua sotto –

L’operazione rappresenta il seguito dell’inchiesta avviata nel luglio 2021. La squadra mobile e il Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della polizia ha eseguito il provvedimento del gip a Palermo, Reggio Calabria, Alessandria e Genova. Le indagini hanno individuato i protagonisti della riorganizzazione delle famiglie mafiose duramente colpite dai precedenti arresti: ricostruiti, quindi, gli assetti delle famiglie mafiose di Brancaccio, con i presunti nuovi vertici, gregari e soldati.

Oltre all’associazione mafiosa, gli indagati sono accusati di avere imposto il pizzo a commercianti e imprenditori e di avere gestito le numerose piazze di spaccio sparse sul territorio di Brancaccio: tutti reati che “hanno consentito di accumulare quei proventi necessari alla remunerazione dei sodali liberi – dicono gli investigatori – e delle famiglie di quelli detenuti”.

Sono cinquanta le estorsioni ricostruite dagli inquirenti ai danni di commercianti della zona. Nessuno sfuggiva alla legge del pizzo: dal piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione. A tutti veniva chiesto denaro o, addirittura, Cosa nostra pretendeva una richiesta di autorizzazione preventiva rispetto all’avvio di lavori. Tra le richieste dei clan, inoltre, anche l’assunzione di dipendenti indicati dalle famiglie. – continua sotto –

I nomi – In carcere sono finiti: Vittorio Emanuele Bruno, 43 anni; Ludovico Castelli, 55; Paolino Cavallaro; 29, Girolamo Celesia, 53; Settimo Centineo, 39; Antonino Chiappara, 55; Giuseppe Ciresi, 33; Maurizio Di Fede, 53; Gioacchino Di Maggio, 39; Pietro Paolo Garofalo, 52; Sergio Giacalone, 52; Francesco Greco, 65; Antonino Lauricella, 62; Ignazio Lo Monaco, 46; Antonio Lo Nigro, 42; Salvatore Lotà, 52; Tommaso Militello, 57; Rosario Montalbano, 35; Antonino Mulè, 41; Tommaso Nicolicchia, 37; Francesco Oliveri, 37; Claudio Onofrio Palma, 44, Giuseppe Parisi, 41; Vincenzo Petrucciani, 40; Emanuele Prestifilippo, 50; Cosimo Salerno, 44; Andrea Seidita, 48; Luciano Uzzo, 51. AI domiciliari: Michele Mondino, 78; Giuseppe Orilia, 71.

Indagato rubò 16mila mascherine durante lockdown – L’emergenza Covid e il conseguente lockdown non hanno fermato la ricerca di denaro della mafia ai danni di imprenditori e commercianti di Palermo. Come emerge dalle indagini, infatti, anche in piena emergenza epidemiologica, infatti, i clan erano alla ricerca di denaro e così uno degli indagati si impossessò di venti scatole contenenti 16mila mascherine Ffp3 sottraendole a un ospedale della città. L’obiettivo era quello di rivendere le mascherine per conto proprio.

Business droga con ricavi da 80mila euro a settimana – Il traffico di droga si conferma una delle principali voci di arricchimento illecito della mafia. L’operazione ha portato alla luce il business dello spaccio in sei piazze del quartiere Sperone in mano alle famiglie mafiose della zona: il ricavo stimato dagli investigatori è di circa 80mila euro settimanali. Parte della droga arrivava dalla Calabria: due degli arrestati, infatti, sono stati catturati a Reggio Calabria. Nel corso di tutta l’indagine, inoltre, le forze dell’ordine hanno sorpreso e arrestato 16 persone in flagranza di reato per detenzione di droga e sequestrato complessivamente ottanta chili di sostanze (tra cocaina purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana) per un valore sul mercato di oltre otto milioni di euro. – continua sotto –

Armi facili per affiliati al clan – Gli affiliati alle famiglie mafiose di Brancaccio hanno “piena consapevolezza” delle loro possibilità di ottenere armi “rivolgendosi ad altri sodali, financo a quelli eventualmente inseriti in altre articolazioni territoriali” di Cosa nostra. Il quadro emerge dall’ordinanza di arresto. Quello delle armi è uno dei diversi capitoli della storia criminale ricostruita da inquirenti, polizia e carabinieri che hanno portato a termine il blitz. I clan avrebbero avuto a disposizione “un vero e proprio arsenale”. Il filone investigativo seguito dai carabinieri, in particolare, ha portato i militari a presupporre che la potenza di fuoco della famiglia mafiosa potesse contare anche su numerose armi semiautomatiche nascoste nell’agro di Ciaculli ma non ancora ritrovate. Un intervento dei carabinieri nell’ottobre 2020, infatti, ha consentito di arrestare in flagranza Emanuele Prestifilippo, trovato in possesso di un fucile da caccia e otto munizioni nascosti all’interno di alcune balle di fieno accatastate nel maneggio di sua proprietà nella zona di Croceverde Giardini.

Microspie captarono il pizzo: “Qualche cento euro…” – “Ti stiamo lasciando libero, però tu capisci, siccome ci sono esigenze…siccome per ora c’è urgenza che bisognano qualche 100 euro per questi poveri sfortunati… non per metterli in tasca”. Questa una delle frasi intercettate dalle microspie di polizia e carabinieri che raccontano delle estorsioni subite da commercianti e imprenditori della zona che con il loro lavoro erano costretti a foraggiare i clan e le famiglie dei carcerati (i “poveri sfortunati”). Nella periferia est di Palermo, territorio dei clan di Brancaccio, tutti erano costretti a pagare: dagli imprenditori edili agli ambulanti, passando per la grande distribuzione organizzata. La richiesta di denaro proseguiva così: “Non ti preoccupare, viene Pasqua e dici: ‘ho questo pensierino’. Va bene, a posto”.

Boss controllavano condotta acqua a Ciaculli – Non soltanto droga ed estorsioni: pur di arricchirsi la mafia palermitana interviene anche nelle condutture dell’acqua per incanalarla a proprio piacimento. La circostanza emerge dall’inchiesta. Il filone investigativo è stato portato avanti dai militari del Nucleo investigativo, secondo cui i clan avrebbero fatto affari anche con la gestione delle acque irrigue, sottratte direttamente alla conduttura ‘San Leonardo’ di proprietà del Consorzio di Bonifica Palermo 2. Gli affiliati alla famiglia mafiosa di Ciaculli sarebbero infatti intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà per poi ridistribuirla ai contadini dell’agro Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Una mossa che oltre all’arricchimento per le classe dei clan ha consentito alla famiglia mafiosa di Ciaculli “di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli – ricostruiscono i carabinieri -, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di un bene essenziale come l’acqua”.

Le scommesse illegali – Le scommesse online erano una delle fonti di guadagno dei clan mafiosi di Ciaculli. Secondo i militari, gli uomini di Ciaculli avrebbero imposto il controllo nella gestione delle piattaforme di gioco per le scommesse on-line illegali. “Questo delicato settore, che risulta una costante nella moderna economia che costituisce gli affari delle famiglie mafiose siciliane, avrebbe assicurato cospicui introiti nella cassa della consorteria di Ciaculli e di quel mandamento mafioso, che avrebbe imposto sul territorio l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta dalle leggi italiane”, riferiscono i carabinieri. Il compenso sarebbe stato versato dagli esercenti, in proporzione ai guadagni ricavati, nelle casse del mandamento mafioso. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.

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