Aversa, “Il Matrimonio Segreto” di Cimarosa analizzato nel libro di D’Agostino e Abate

di Nicola Rosselli

Aversa (Caserta) – Una rilettura storica de Il Matrimonio Segreto. Il capolavoro dell’opera buffa, libretto di Giovanni Bertati, musicato dal genio del Settecento napoletano, l’aversano Domenico Cimarosa, rivisto dal punto di vista «civile» da Enzo D’Agostino e da quello musicale da Nicola Abate. – continua sotto – 

Giunge in libreria in questi giorni «Il Matrimonio Segreto di Domenico Cimarosa, libretto di Giovanni Bertati», terzo volume della collana di opere dedicata al Genio aversano. Studioso di storia patria, già autore de «La finta parigina», altra opera di Cimarosa, il primo è dirigente scolastico in pensione. Studente di pianoforte presso il Conservatorio San Pietro a Majella dopo essersi diplomato presso il liceo musicale Domenico Cirillo, il secondo, poco più che ventunenne.

Il preside D’Agostino vede il Matrimonio Segreto come un moderno caso di Matrimonio di Coscienza. Insomma, un’opera ritenuta giocosa, ma non improbabile anche dal punto di vista storico visto che la Chiesa riconosce il matrimonio di coscienza con Benedetto XIV nel 1741 e i monarchi Borbone lo fanno proprio nel 1772. Insomma, non un’opera di fantasia, ma ancorata ai suoi tempi, alla Storia. L’Autore si sofferma anche sulla circostanza del bis che sarebbe stato richiesto dall’imperatore Leopoldo II in occasione della prima. Anche qui D’Agostino dà una sua lettura dell’episodio: il bis (parziale o totale) ci sarebbe sicuramente stato ma per festeggiare la sottoscrizione dell’accordo di Pillnitz con la Prussia. Un bis richiesto per festeggiare il raggiungimento di questo successo diplomatico, senza nulla togliere alla fama meritata de Il Matrimonio Segreto, universalmente riconosciuto come un capolavoro della Musica. Con la sua scrittura briosa, D’Agostino ci rivela anche che «Dominique», come lo scrittore francese chiamava Cimarosa, era il favorito di Stendhal che, sebbene seguisse anche Mozart, era un fan del Maestro aversano tanto da aver affermato di essersi voluto chiamare Domenico.

«Ho creduto utile, se non indispensabile, – afferma D’Agostino commentando il suo lavoro – proporre un’analisi del libretto, esaminato e descritto minuziosamente, scena per scena, senza temere troppo di banalizzare l’approccio del fruitore: rischio di banalizzazione esistente, ma evitabile con una proposta descrittiva del testo che non mortifica e anzi sollecita il gusto della scoperta e poi il desiderio dell’ascolto sincronico con la musica».

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