Banca del Mezzogiorno, Pasquale Giuliano ricorda la sua proposta di legge

di Redazione

La Banca del Mezzogiorno? Pasquale Giuliano, magistrato, già sottosegretario alla Giustizia e più volte parlamentare, aveva avanzato una proposta di legge ben 15 anni fa. Lo ricorda lo stesso ex senatore in un momento in cui si fa un gran parlare del mancato decollo del Sud con un dibattito proprio sulla necessità che il Mezzogiorno abbia un proprio istituto di credito e il marchio Banco di Napoli scomparso definitivamente.

Era il 17 marzo del 2005 quando l’allora senatore azzurro fu il primo firmatario della proposta di legge «Costituzione, in forma di società per azioni, della Banca del Mezzogiorno». «Il Mezzogiorno d’Italia – più di 20 milioni di abitanti – è l’unico grande “territorio” d’Europa – affermava Giuliano – a essere sostanzialmente “debancarizzato”. Non è stato così, per secoli. E non è così, nel resto d’Europa. Dalla Scozia alla Catalogna, dalla Baviera alla Boemia ai Paesi Baschi, tutti i grandi “territori” d’Europa hanno, di diritto o di fatto, banche proprie. Vecchissime o nuovissime, grandi, medie o piccole, comunque banche autoctone. Banche che dei propri “territori” testimoniano ed esprimono, sostengono e proiettano la vitalità economica e sociale. E` l’opposto nel Mezzogiorno».

«Certo, molte banche sono attive nel Mezzogiorno, ma non sono banche del Mezzogiorno. Non si tratta – continua l’ex sottosegretario – di una differenza secondaria o finanziaria. Si tratta di una differenza primaria e sostanziale: sociale ed economica, politica e storica. Prima d’essere “unificato” (nel Nord), il Mezzogiorno aveva anche un suo proprio, se pure fortemente arretrato, sistema politico; aveva anche un suo proprio sistema finanziario che invece era molto evoluto; era a ridosso della rivoluzione industriale. I titoli delle Due Sicilie erano trattati nelle principali piazze finanziarie d’Europa. Non solo vasti settori dell’agricoltura meridionale competevano direttamente sul mercato internazionale, ma le manifatture tessili e meccaniche, i cantieri e le ferrovie delle Due Sicilie erano un forte incubatore di sviluppo industriale».

Giuliano compie, poi, un’analisi storico. Sociologica: «Poi è venuta l’”unificazione”, che ha annichilito la società meridionale e di riflesso e per conseguenza ha interrotto il suo processo di sviluppo. Da un giorno all’altro, antiche e gloriose capitali sovrane furono trasformate in Prefetture, senza che ci fosse, nel Mezzogiorno, il baricentro di una forte società “municipale”. Un tipo di società civile – questa – che era invece presente e per compensazione sarebbe divenuta sempre più forte, nel resto del Paese. Eliminate le vecchie strutture politiche centrali, il Mezzogiorno si trovò invece nel vuoto: senza il suo centro; sotto un centro che per decenni sarebbe stato remoto ed alieno, quando non ostile; senza una base municipale. Fu la fine del processo di sviluppo del Mezzogiorno: senza più una sua guida, sotto una guida esterna, l’economia meridionale si fermò. Le classi lavoratrici restarono sulla terra. O furono poi spinte all’emigrazione. Le classi dirigenti prima, e poi altri vasti strati di popolazione, iniziarono invece una loro speciale migrazione interna, dentro la burocrazia del nuovo Stato centrale. Sopravvisse tuttavia, tanto era forte, il sistema bancario meridionale, basato sui grandi istituti di Napoli, Sicilia, Sardegna, attivi nel Mezzogiorno, nel Nord, all’estero. E su una vasta e complementare rete di banche territoriali. Poi di colpo – più o meno nell’ultimo decennio – tutto è imploso e precipitato, fino al collasso. Per cause diverse: per le radicali mutazioni intervenute nel sistema di aiuti di finanza pubblica, italiani ed europei; per l’occupazione “politica” delle banche, quasi tutta degenerata, ma da quasi tutti tollerata. E per altro ancora. Non é questa la sede per processare il passato, ma per guardare al futuro. L’attuale “debancarizzazione” del Mezzogiorno è tanto sintomatica quanto problematica. Essa è insieme una prova e una causa della sua crisi. In Europa c’è una doppia costante: lo sviluppo si produce e si muove essenzialmente “per territori” e tutti i “territori” hanno proprie banche».

«Il problema – conclude Giuliano – non è tanto oggettivo quanto soggettivo. Non è tanto e soltanto quanto credito si eroga ed a che prezzo. E’ soprattutto chi lo eroga: con quale spirito, con quale reale impegno. Non sempre, ma a volte ci si può spingere con lungimiranza oltre il gelido calcolo dei ratios. Le “leggi finanziarie” sono certo necessarie, ma da sole non sono sufficienti. A loro volta, le banche che operano nel territorio, ma non sono del territorio, non bastano. Nel sistema manca un altro pezzo, che non si crea e non si porta da fuori. Il Mezzogiorno non si può rassegnare ad avere un passato, ma non un futuro».

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