Palermo, colpo al clan Brancaccio: 25 arresti

di Redazione

La Polizia di Stato ha eseguito, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che ha coordinato le indagini, una misura cautelare a carico di 25 persone accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, incendio, trasferimento fraudolento di valori aggravato, autoriciclaggio, detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio e contrabbando di sigarette. L’operazione “Maredolce 2”, condotta dalla Squadra mobile, guidata da Rodolfo Ruperti, ha fatto luce su una delle articolazioni territoriali chiave nell’economia di Cosa nostra palermitana: il mandamento mafioso di Brancaccio e, in particolare, la famiglia di corso dei Mille. I nuovi capi erano Fabio Scimò e Salvatore Testa, volti noti di Cosa nostra e già condannati per associazione mafiosa.

Gli investigatori hanno radiografato l’economia di un clan mafioso già colpito, nel luglio del 2017, dall’operazione “Maredolce”. La droga, il business delle slot machine, il controllo di alcune case di riposo, le estorsioni sono solo alcuni degli interessi perseguiti dagli affiliati e documentati dalle indagini dei poliziotti. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati all’organizzazione beni per un valore approssimativo di 1 milione di euro. Il clan era stato già duramente colpito nel 2017 nell’ambito di un altro blitz, nel quale finirono in manette 34 persone. Agli arresti per associazione mafiosa finí anche il fratello di Giovanni Lo Porto, l’operatore umanitario rapito da Al Qaeda nel 2012 in Pakistan e ucciso da un drone americano nel corso di un’operazione antiterrorismo.

Immediatamente dopo l’arresto di Pietro Tagliavia, 41 anni, reggente fino al 2015 dell’intera compagine mandamentale, le investigazioni si sono concentrate sulle figure di Luigi Scimò e Salvatore Testa, personaggi di indubbia caratura mafiosa che sono riusciti, in breve tempo, a riorganizzare le fila del sodalizio mafioso di Corso dei Mille, profondamente colpito, nel luglio del 2017, dall’operazione Maredolce. La loro leadership, emersa sin dalle prime acquisizioni tecniche, ha trovato puntuale riscontro nella capacità di mantenere stabili rapporti con autorevoli esponenti di cosa nostra palermitana e non solo. Tra questi, spiccano i nomi di Pietro Salsiera e Sergio Napolitano, ai vertici della famiglia di Resuttana, Giovanni Sirchia, uomo d’onore di Passo di Rigano, Filippo Bisconti, al tempo capo della famiglia di Belmonte Mezzagno e, oggi, collaboratore di giustizia e Leo Sutera, indiscusso rappresentante della provincia di Agrigento, attualmente detenuto.

Dal complesso delle attività è emerso come i due abbiano assunto la guida della famiglia mafiosa di Corso dei Mille, organizzando e dirigendo un folto gruppo di sodali in grado di condizionare profondamente il tessuto economico, tanto legale quanto illecito, di quella porzione di territorio. Oltre la pressione estorsiva in danno degli operatori economici della zona, affidata alle cure di Giordano Salvatore e Giuseppe Di Fatta, gli uomini della famiglia erano molto attivi nel contrabbando di sigarette, coordinato da Girolamo Castiglione, e nel settore dei video poker, tramite i fidati Giovanni De Simone e Aldo Militello.

È stato, inoltre, documentato l’interesse del gruppo di Scimò nelle gestione delle case di riposo per anziani, intestate fittiziamente a terzi ma, in realtà, controllate dallo stesso Scimò tramite Anna Gumina e Pietro Di Marzo. Quest’ultimo, genero dello stesso Pietro, ha anche curato personalmente l’acquisto di una partita di stupefacente presso un non meglio identificato esponente della famiglia Barbaro di Platì. La trattativa era finalizzata a stabilire un canale di rifornimento diretto tra Calabria e Sicilia che garantisse l’approvvigionamento di cocaina per le piazze di spaccio attive sul territorio di Brancaccio e controllate dalla famiglia mafiosa.

In generale, è stato ricostruito l’organigramma della famiglia di Corso dei Mille, con la precisa ricostruzione dei ruoli e delle responsabilità attribuiti da Testa e Scimò ai loro sodali, secondo i tradizionali modelli organizzativi di cosa nostra. Struttura, questa, che continua a garantire all’organizzazione mafiosa un capillare controllo del territorio funzionale alla salvaguardia degli interessi economici dell’organizzazione stessa. Emblematico, in tal senso, il caso di una rapina in danno di una sala bingo sottoposta ad amministrazione controllata e al cui interno erano collocati dei video poker di pertinenza di altra famiglia. Nella circostanza, Testa e Scimò si sono immediatamente attivati per rintracciare gli autori del colpo, evidentemente non autorizzati dai referenti territoriali dell’organizzazione mafiosa, e costringerli a restituire il bottino dopo un breve processo sommario.

Non sfuggono al controllo mafioso nemmeno le questioni di carattere personale che riguardino i singoli associati. È il caso, ad esempio, del furto dello scooter di proprietà di Pietro Di Marzo; questi, sfruttando le sue “conoscenze” sul territorio, ha prontamente individuato l’incauto ladro, costretto i suoi genitori ad acquistare uno scooter simile e, contestualmente, cederne la proprietà allo stesso Di Marzo. Sono stati, inoltre, documentati alcuni episodi di usura posti in essere da Caterina Feliciotti, moglie di Enrico Urso; quest’ultimo curava, per conto di Scimò ed altri sodali, la delicata fase di preparazione di importanti riunioni tra mafiosi. Inoltre, sono stati sottoposti a sequestro preventivo alcune imprese e diversi veicoli per un valore complessivo quantificabile nell’ordine del milione di euro. A margine dell’indagine principale, infine, sono stati ricostruiti alcune fattispecie di furto per i quali sono gravemente indiziati Pietro Rovetto e Paolo Rovetto.

IN ALTO UN VIDEO, SOTTO LE INTERCETTAZIONI

https://youtu.be/AHRunMg2-e8

https://youtu.be/AC3hFTGeK5Y

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