“Don Diana, martire in terra di camorra”, il libro di Raffaele Sardo

di Antonio Taglialatela

Casal di Principe – “Se la camorra ha assassinato il nostro Paese, ‘NOI’ lo si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti e riannunciare la ‘Parola di Vita’”.

Parole di don Peppe Diana, pochi giorni prima della sua uccisione per mano della camorra, il 21 marzo del 1994. Un messaggio, quello del sacerdote di Casal di Principe, a cui si è ispirato il giornalista e scrittore Raffaele Sardo, nel suo nuovo libro “Don Peppe Diana. Un martire in terra di camorra”, con prefazione di Gian Carlo Caselli, presentato sabato 14 marzo al Santuario della Madonna di Briano.

L’iniziativa rientrava nell’ambito della rassegna “21/21 per don Diana”, promossa dal Comitato Don Diana e dall’associazione Libera in occasione del 21esimo anniversario dell’omicidio di don Giuseppe Diana.

Tra i presenti Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, Tano Grasso, presidente onorario della Federazione Antiracket Italiana, Renato Natale, sindaco di Casal di Principe, Valerio Taglione, coordinatore del Comitato Don Diana, don Paolo Dell’Aversana, vicario della Diocesi di Aversa. A moderare Geo Nocchetti, giornalista del Tgr Campania.

Quello che Sardo narra nella sua opera è un dialogo immaginario tra don Peppe e il padre, Gennaro, morto nel 2011, nel paradiso delle vittime innocenti di camorra, tra fantastiche visioni celesti e la sanguinosa e ambigua realtà in terra di clan. Dialogo attraverso cui l’autore ripercorre la parabola del clan dei casalesi e la conseguente rinascita di una coscienza civile tra i cittadini.

Un don Peppe mai visto, quasi Beato tra le anime. Ed è proprio il nodo della beatificazione che Sardo ha affrontato durante la presentazione: “Per Don Diana ancora è stato avviato il processo di beatificazione e questo è un fatto molto grave perché lui è stato ucciso in quanto simbolo di lotta alla camorra”.

Ma chi era Don Diana nel quotidiano? “Era un casalese verace – risponde Sardo – un uomo che aveva la tonaca e tutto quello che faceva lo faceva in nome del suo Dio. Lui era convinto che l’unica strada che i giovani dovevano percorrere non era quella della camorra ma quella delle possibilità, della speranza, dell’alternativa, perché nella vita non ci sono soltanto violenza e sopraffazione. Lui era diventato un simbolo e di questo simbolo molti avevano paura e forse hanno paura ancora oggi”.

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