Liberati i quattro giornalisti italiani rapiti dai lealisti di Gheddafi

di Mena Grimaldi

in alto, da sin. Rosaspina e Sarcina; in basso Quirico e MoniciTRIPOLI. Liberati i quattro giornalisti italiani sequestrati mercoledì mattina in Libia. Secondo una prima ricostruzione, Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera, Domenico Quirico de La Stampa, e Claudio Monici di Avvenire, …

… stavano viaggiando sulla stessa auto tra Zawiyah e Tripoli, quando un gruppo di civili li ha bloccati, uccidendo l’autista che li accompagnava. I giornalisti sono stati malmenati e derubati di tutto quello che avevano, compresi i telefoni satellitari. La banda, dopo aver malmenato i reporter, li ha consegnati a un gruppo di militari fedeli a Gheddafi che li hanno condotti in una casa privata e da qui rilasciati e accompagnati nella zona in mano ai ribelli. I reporter sono ora al sicuro nell’hotel Corinthia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa la notizia, ha espresso viva soddisfazione e ha ringraziato il ministero degli Affari esteri, e in particolare l’unità di crisi, e quanti si sono prodigati per la positiva conclusione della vicenda. Il

Subito dopo la liberazione i giornalisti si sono messi in contatto con le rispettive redazioni e sono stati intervistati da colleghi inviati in Libia. Giuseppe Sarcina, inviato del Corriere, ha evidenti ferite al volto. Mercoledì mattina, prima di mezzogiorno, la sua collegaRosaspina è riuscita a chiamare il direttore Ferruccio de Bortoli dando la notizia della loro liberazione e ha subito rassicurato che stanno tutti bene, nonostante il momento difficile.”Sono vivo, vegeto e libero” sono queste le prime parole di Domenico Quirico, che si è messo in contatto con la redazione de La Stampa da Tripoli. “Adesso sto bene, fino a un’ora fa pensavo di essere morto. Siamo stati liberati da due ragazzi, sono stati fantastici”. Tutti hanno espresso cordoglio per la barbara uccisione dell’autista e hanno espresso il desiderio di andare a trovare la sua famiglia.

Claudio Monici, inviato di Avvenire, ha raccontato a SkyTg24 le fasi del sequestro: “Stavamo cercando di raggiungere l’hotel internazionale e siamo finiti in una strada molto silenziosa e abbiamo sentito dei colpi. Siamo tornati subito indietro e ci siamo dovuti fermare. C’era l’esercito libico, l’autista non poteva fare retromarcia e ci siamo dovuti fermare. Ci hanno spinto fuori dalla macchina. Ci hanno chiesto chi eravamo, cosa volevamo. Siete italiani, ci bombardate, ci hanno detto. Qualcuno è stato preso a calci e pugni. Il nostro autista ha cercato di chiudere la portiera del pick up ma era impossibile. Hanno preso l’autista e lo hanno fatto uscire. Ha capito che era la fine per lui e lo hanno picchiato e ucciso davanti ai nostri occhi. Erano arrabbiati, con gli occhi iniettati di sangue. Ci hanno rinchiusi in un garage e ci hanno rubato tutto. Poi siamo stati rinfocillati con acqua e biscotti. Penso alla famiglia del nostro autista, ci aveva chiesto di salutare suo padre e sua madre. Era un amico. Non un amico da tanti anni. Un uomo buono. Parlava un misto di italiano e inglese. Lavoravamo spalla a spalla. L’ho visto pregare per la sua vita”.Poi Monici haaggiunto: “Abbiamo rischiato di essere linciati. È un miracolo se siamo vivi. Una persona ha capito la situazione e ci ha strappati dalle mani degli assalitori. Sono stati tra i momenti peggiori della mia vita, molto più faticosi di altre volte in cui mi sono trovato in situazioni difficili”.

Giuseppe Sarcina, anche lui intervistato da Sky e dal Corriere.it ha ricostruito le 222 ore di sequestro: “Ci hanno preso vicino a piazza Verde, in una strada deserta, terra di nessuno. Il collega Monici ha subito capito che era una zona pericolosa ma non abbiamo fatto in tempo a tornare indietro. Dopo una curva abbiamo trovato i miliziani di Gheddafi che ci sono saltati addosso, ci hanno malmenati e ci hanno tolto tutto. A bordo del nostro pick up c’era un kalashnikov e questo è stato fatale per il nostro autista. Lo hanno ucciso a bruciapelo e lasciato sul marciapiede. Ci hanno caricati su un furgone e portati in un garage del quartiere . Non riuscivamo a capire chi avevamo di fronte, c’erano due correnti. Qualcuno si affacciava minaccioso, altri ci portavano acqua e cibo. A volte intervenivano dei civili per controllare i più scatenati. Alla fine due ragazzi ci hanno fatto uscire e dobbiamo tutto a loro, ci hanno promesso che ci avrebbero aiutati. E’ prevalsa la loro linea. Ci hanno portato a casa loro dove abbiamo potuto lavarci e mangiare qualcosa e in mattinata ci hanno accompagnati oltre la linea. Sono due splendide persone, di un’umanità disarmante. Credo che posso trarre una lezione da questa esperienza. Entrambe le parti sono persone buone. La guerra è orribile perché persone buone e amiche poi diventano nemiche. I rapitori non erano soldati regolari, ma neanche civili, erano miliziani”.

Intanto, la procura di Roma ha aperto un’inchiesta sul rapimento dei quattro giornalisti. Sequestro di persona con finalità di terrorismo e rapina: sono i reati ipotizzati dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti, che ha affidato ai carabinieri del Ros e alla Digos il compito di svolgere accertamenti.

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