Spatuzza: “Grazie a quello di Canale 5 avevamo il Paese in mano”

di Redazione

Marcello Dell'Utri e Silvio BerlusconiLa II Sezione della Corte d’Appello di Palermo, in trasferta a Torino per il processo a Marcello Dell’Utri, ha rigettato la richiesta avanzata dalla difesa del senatore di non ascoltare oggi il pentito Gaspare Spatuzza.

Verso le 12 è iniziata la deposizione del collaboratore di giustizia: “Ho fatto parte dagli anni Ottanta al Duemila di un’associazione terroristico-mafiosa denominata Cosa Nostra. Dico terroristica per quello che mi consta personalmente, perché dopo gli attentati di via D’Amelio e Capaci, ci siamo spinti oltre, come l’attentato al dottor Costanzo (Maurizio ndr) e quello a Firenze dove morì la piccola Nadia”.

DELL’UTRI: “SONO SERENO”. Durante la sospensione chiesta dai suoi legali, il senatore del Pdl Dell’Utri, intervistato dai giornalisti, ha fatto sapere: “Sono sereno. Io mi sento come a teatro dove c’è un protagonista che non sono io, ma un altro. Un’idea del perché mi accusano? Me lo sono fatto: penso che loro non siano pentiti dell’antimafia, penso che siano pentiti della mafia. Hanno interesse a far cadere il governo Berlusconi. Non c’è mai stato un governo così rigoroso contro la mafia come quello Berlusconi. C’è stato il massimo dei beni sequestrati, dei latitanti catturati. Se io fossi della criminalità organizzata cercherei di buttarlo giù. Non ho mai conosciuto dei boss, non ho mai ricevuto alcun messaggio da parte loro”.

GLI ATTENTATI.

Spatuzza racconta che prima degli attentati del ’93 (a Roma nella Chiesa di San Giovanni in Laterano, al Verano e a Milano ai giardini di via Palestro) imbucò cinque lettere, alcune delle quali indirizzate a testate giornalistiche. “Queste lettere – dice il pentito – provenivano dal boss Giuseppe Graviano. Il fatto che prima di fare un attentato mi dicessero di informare qualcuno con delle lettere è un’anomalia che mi ha fatto capire che c’era qualcosa sul versante politico”. Nell’incontro di fine ’93 a Campo Felice di Roccella con Graviano, Spatuzza – stando al suo racconto – riceve l’ordine di compiere un attentato “in cui moriranno un bel po’ di carabinieri». Il fallito attentato allo stadio Olimpico «doveva essere il colpo di grazia”, afferma Spatuzza. E poi: “Dissi a Graviano che ci stavamo portando un po’ di morti che non ci appartenevano, ma lui mi disse che era bene che ci portassimo dietro questi morti, così ‘chi si deve muovere si dà una mossa'”. Il pentito spiega: “Vigliaccatamente (così nella deposizione, ndr) Cosa Nostra ha gioito per Capaci e via D’Amelio. Perché erano i principali nemici nostri. Capaci ci appartiene, via D’Amelio ci appartiene – afferma – ma tutto il resto non ci appartiene”. Come fallì l’attentato all’Olimpico? “Io e Benigno (altro mafioso, ndr) eravamo a Monte Mario. Benigno dà l’impulso al telecomando ma non funziona e l’attentato non avviene. Poi quando i carabinieri si erano già distanziati io gli dissi di fermarsi, di non dare più l’impulso. Scendiamo con la moto, ma l’attentato in sostanza era fallito”.

LE RIVELAZIONI SUBERLUSCONI.

“Nel ’94 – afferma Spatuzza – incontrai Giuseppe Graviano in un bar in Via Veneto, aveva un atteggiamento gioioso, ci siamo seduti e disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà delle persone che avevano portato avanti quella storia e non come quei quattro ‘crasti’ socialisti che avevano preso i voti nel 1988 e 1989 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vennero fatti due nomi tra cui quello di Berlusconi. Io chiesi se era quello di Canale 5 e mi disse: sì. C’era pure un altro nostro paesano. Graviano disse che grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo il paese nelle mani”.Spatuzza poi racconta quando si trovònel carcere di Tolmezzo con Filippo Graviano: “Nel 2004 lui stava malissimo, io gli parlavo dei nostri figli, di non fargli fare la nostra fine… ho avuto la sensazione che stava crollando. Mi disse di far sapere a suo fratello Giuseppe che se non arrivava qualcosa da dove doveva arrivare, allora bisognava parlare ai magistrati”. Il pm chiede spiegazioni sulla frase “da dove doveva arrivare” e qui Spatuzza ritorna al riferimento di Berlusconi e Dell’Utri. “I timori di parlare del presidente del Consiglio erano e sono tanti. – continua Spatuzza – Basta vedere che quando ho cominciato a rendere i colloqui investigativi con i pm mi trovavo Berlusconi primo ministro e come ministro della Giustizia uno che consideravo un ‘vice’ del primo ministro e di Marcello Dell’Utri”.

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