Prc, Bove e Milani rimettono il mandato

di Redazione

Giosuè Bove CASERTA. Una segreteria provinciale “allargata” che si è trasformata in un quasi comitato politico: una sala piena come non mai, una ventina di interventi, nervosismo, commozione.

Il segretario provinciale Giosuè Bove ha rimesso il mandato nelle mani del comitato politico, con una lunga lettera, così come ha fatto l’assessore provinciale Enrico Milani. In una nota stampa, il Prc casertano rende noto: “Diversi segretari di circolo, tra cui quello di Caserta, hanno scelto o sceglieranno questa strada senza fughe, restando a disposizione del partito, perché quando una nave affonda non si scappa. Nel pomeriggio di martedì 29 aprile, in prima convocazione e poi nel pomeriggio di martedì 6 maggio, in seconda convocazione si riunirà il comitato politico della federazione di Caserta del Prc, ottanta componenti eletti e dieci invitati permanenti. Nella sede della federazione di Caserta del Prc che è stata negli ultimi due mesi il punto di riferimento della campagna elettorale di tutta la Sinistra l’Arcobaleno, i dirigenti del partito in forma allargata si confronteranno sul tema al centro della discussione, sul che fare che echeggia superbo nel suo richiamo a Lenin, ma sopra le macerie fumanti della sinistra. Fino al 29 e poi tra il 30 aprile e il 5 maggio dovunque possibile si svolgeranno assemblee cittadine o territoriali degli iscritti e dei simpatizzanti, per affrontare la discussione e renderla più partecipata possibile, perché dobbiamo aprirci, non chiuderci e dobbiamo capire dove sono gli errori veri. Il disastro è davvero grande e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una discussione da ceto politico, piena di sottintesi, di ripicche, di dispetti. Al centro della discussione, oltre alle decisioni da assumere in merito alla “messa a disposizione” de i mandati del segretario e dell’assessore provinciale, c’è sicuramente l’avvio immediato della fase congressuale che si annuncia dura: a luglio ci sarà il congresso nazionale, dunque i congressi provinciali dovranno svolgersi a giugno e quelli di circolo a maggio. In campo tre ipotesi: lo scioglimento di rifondazione e la fondazione di un nuovo partito della sinistra, la prima; l’unità dei comunisti, con un unico partito riunificato Prc+Pdci, la seconda; Rifondazione oggi e domani, la terza, per la costruzione di un soggetto politico unitario e plurale a rete con chi ci sta, senza scioglimenti né fusioni Ma al di là delle forme Il tema di fondo è l’interrogazione radicale: possiamo ancora esistere? Può, in questa fase storica, darsi ancora l’esistenza di una sinistra che agisce per l’alternativa di società e allo stesso tempo vuole essere incidente dentro questa società? E come è possibile restituire la dimensione di massa alla sua esistenza?”.

Riportiamo la lettera di dimissioni del segretario provinciale del Prc Giosuè Bove.

“Alle compagne e ai compagni del comitato politico della federazione provinciale di Caserta del partito della rifondazione comunista…e a tutte le compagne e i compagni con o senza tessera interessati.

Care compagne, cari compagni,

rimetto a voi il mandato di segretario provinciale. Credo sia un atto dovuto di fronte al disastro sancito dal voto del 13 e 14 aprile. Naturalmente, come ho già avuto modo di dirvi, senza fughe. Resto a disposizione del partito, perché quando una nave affonda non si scappa, pronto a fare quello che la comunità di compagne e compagni che costituisce rifondazione comunista deciderà. Ci riuniremo entro la fine del mese per una discussione collettiva formalizzata. Ma prima credo sia opportuno organizzare discussioni dovunque sia possibile e quanto più ampie e partecipate. Dobbiamo aprirci, non chiuderci e dobbiamo capire dove sono gli errori veri. Il disastro è davvero grande e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una discussione da ceto politico, piena di sottintesi, di ripicche, di dispetti. E sono convinto che questa “messa a disposizione” non sarà isolata, perché altri dirigenti politici e rappresentanti istituzionali, assessori e consiglieri, sicuramente vorranno seguire questo percorso. Il disastro elettorale de LA SINISTRA L’ARCOBALENO è frutto di molte cose: sicuramente l’esperienza di governo, la delusione profonda delle aspettative che si è manifestata con un astensionismo diffuso, militante e popolare, e che ha colpito quasi totalmente la sinistra arcobaleno (si stimano quasi 2 punti percentuali). Abbiamo perso poco, troppo poco, verso le liste che si richiamano al comunismo, (poco più della tradizionale “dispersione” sulle altre “falce e martello” nelle precedenti elezioni): più rilevante della dispersione a sinistra è stata addirittura quella a destra, verso IDV e al Nord verso la Lega. E invece abbiamo pagato pesantemente la dinamica del voto utile, che è stata esercitata come una clava in particolare contro la sinistra proprio dal partito di Veltroni (si stimano due milioni di voti, più di 4 punti percentuali). Ma il combinato disposto di tutte queste condizioni ha costituito l’imbuto attraverso cui è venuta allo scoperto e si è disvelata una tendenza di lungo periodo della crisi delle forme della politica. E non mi riferisco alle forme generiche della politica, ma a quelle particolari e specifiche della “nostra” politica che vuole trasformare l’esistente. I partiti “borghesi” hanno avuto la loro crisi della forma-partito e l’hanno affrontata trasformando le organizzazioni di massa in apparati centralizzati e strutture periferiche leggere, in altri termini in “partiti di opinione”, che costruiscono consenso con la gestione del potere. L’idea di imitare questo modello è impraticabile, perché il nostro esistere come realtà politica nazionale ha senso, per noi, ma prima di tutto per il blocco sociale di riferimento, se intanto continuiamo ad essere “per la trasformazione radicale della società” (perché se “scoloriamo”, diventa più coerente sostenere il PD); e poi: se possiamo incidere realmente nelle scelte politiche a favore dello stesso blocco sociale (insomma “se portiamo a casa qualcosa”). Ma, e qui sta l’ingrippo, non è possibile fare entrambe le cose se non dentro una ricostruzione di soggettività politica che, in altre forme adeguate all’oggi, presenti la stessa cifra di partecipazione che nella fase precedente presentavano i partiti di massa. Nella differenza, spesso notevole, tra i dati alle politiche e quelli alle amministrative si può leggere quasi una equazione: più vicina più partecipata, più vissuta era la proposta elettorale, maggiore è stato lo scarto. Leggere insieme entrambe le serie di dati rafforza la mia convinzione: dobbiamo prendere atto che il tentativo della Sinistra l’Arcobaleno è fallito. Ma che, sebbene piena di fascino non è, non sarebbe utile una proposta di semplice sussistenza e sopravvivenza identitaria. La passione in questo momento è necessaria, ma non basta. C’è bisogno di esercitare la nostra intelligenza collettiva e di riprendere il filo di una ricerca che proprio il nostro partito ha sviluppato, purtroppo senza metterne in pratica i pur evidenti insegnamenti. Penso in altri termini che non si possa né propugnare lo scioglimento del partito e contro ogni evidenza (con il pdci che si sfila e apre la costituente dei comunisti e i verdi che vanno a congresso straordinario) continuare a sostenere che bisogna andare avanti con la Sinistra l’Arcobaleno, che nei fatti è ormai solo il simulacro di un progetto, né pensare che basterà richiuderci nel nostro fortilizio, avvolti nelle nostre bandire e resistere. Rifondazione Comunista deve continuare a vivere proprio perché è l’organizzazione che più ha pensato l’innovazione delle forme della politica, ed è indispensabile, oggi e domani. C’è stato sempre, anche nel movimento operaio e comunista, chi di fronte ai cambiamenti epocali della composizione e dei rapporti di forza tra le classi, ha continuato a guardare, per quanto riguarda le forme della politica, al passato. E però alla fine l’ancoraggio al mitico “ieri” è stato superato nei fatti. All’inizio del secolo il partito dei rivoluzionari di professione si è dovuto sostituire alla rete associativa tipica dell’ottocento; nel secondo dopoguerra, di fronte agli spazi di democrazia e al sistema fordista-taylorista, ai grandi aggregati proletari, alla forza del movimento operaio, i partiti della sinistra di classe si sono dati una organizzazione di massa, del tutto diversa da quella di inizio novecento. Dalla fine degli anni ’70 la composizione e i rapporti di forza hanno cominciato a mutare: dopo l’89 questo cambiamento ha subito una forte accelerazione. Il crollo del socialismo reale, la rivincita dell’imperialismo occidentale, la scomposizione tecnica delle figure produttive, la rivoluzione informatica presenta da tempo una situazione in cui l’organizzazione politica dei comunisti non può essere uguale alla fase precedente. Del resto le esperienze politiche in Europa dicono con chiarezza che non funziona né l’assemblaggio di ceti politici, come Izquerdia Unida in Spagna (molto simile alla nostra Sinistra l’Arcobaleno) né tanto meno va bene la deriva identitaria in Francia, scenario probabile se si prendesse la strada della chiusura settaria. In Germania la situazione è molto diversa: Die Linke nasce dalla fusione del PDS (Partito del Socialismo Democratico) tedesco e del movimento WASG (Lavoro e Giustizia Sociale – Alternativa elettorale), fondato da Oskar La Fontaine nel 2005. Il PDS tedesco (ex SED della Germania orientale) è un partito di ispirazione comunista ma profondamente contaminato, soprattutto dal 2000 in poi, dalle culture di movimento, organizzato in modo pluralistico “a rete” e aperto anche a tendenze culturali radicalmente diverse, come quelle dei punk. Il PDS si incontra nel 2005 con la WASG, movimento meno radicale ma con la medesima idea di partito aperto. Die Linke, che nasce definitivamente nel 2007, è un partito/non partito, una rete molecolare, plurale per forme organizzative e culture che è riuscita a rimettere al centro della politica tedesca la sinistra ed il vasto blocco sociale di riferimento imperniato sulle lavoratrici e i lavoratori dipendenti. Che fare, in Italia? Le esperienze dei paesi a noi simili per composizione e rapporti di classe non devono naturalmente per forza essere presi a modello ne è detto che siano ripetibili. Ma certo sono indicativi. Sarà questo il cuore del dibattito nei prossimi mesi, dentro un percorso di confronto profondo sul passato e soprattutto sul futuro. Ma che fare nell’immediato? Io penso che la sconfitta che abbiamo subito alle elezioni già pesantissima rischia di aggravarsi per il processo di dissoluzione politica dei gruppi dirigenti e per il disorientamento e la perdita di senso dell’impegno politico. Da questo punto di vista ho già avuto modo di dire che c’è bisogno di un grande senso di responsabilità. Ci aspetta un durissimo lavoro, perché dobbiamo ripensare daccapo tutto il processo di costruzione dell’alternativa di società e della sinistra. Siamo all’anno zero e dobbiamo ripartire. E non ci aiuta scaricare la nostra avversione rispetto al progetto di Veltroni di sterilizzazione politica della sinistra sugli enti locali: è esattamente quanto quello che vorrebbe il PD, o almeno parte di esso, ed è l’esatto contrario di quel che vogliono gli elettori che in questo sfacelo hanno comunque alle amministrative segnato una differenza e fatto sopravvivere la sinistra. In una situazione dove si affacciano tentazioni e derive autoritarie e un sicuro restringimento degli spazi di democrazia gli enti locali dovranno essere “presidi democratici” e la nostra presenza in essi è essenziale, anche perché adesso c’è bisogno di una svolta profonda nella loro gestione. D’altro lato non ci aiuta la babele delle proposte che arrivano a raffica e tra queste le due ipotesi opposte che oggi appaiono in campo, lo scioglimento dei partiti esistenti ed un nuovo partito della sinistra da un lato e dall’altro l’unità dei comunisti. Se andassero avanti sarebbero destinate a realizzarsi in parallelo ottenendo l’esito di ridividere la sinistra su basi ideologiche senza alcuna chiarezza sulla linea politica e sulla cultura politica dei soggetti stessi. Entrambi questi progetti prevedono nei fatti la distruzione di Rifondazione Comunista e del suo patrimonio di elaborazione, di linea, di militanza, di innovazione. Una scelta che, peraltro, non farebbe i conti con il problema del reinsediamento sociale della sinistra, con la crisi della politica e con le forme assai diversificate di militanza che caratterizzano la sinistra diffusa. Al contrario io penso che in questa situazione terremotata si debba ripartire con laicità, con senso del limite, ma anche con passione e con intelligenza da Rifondazione Comunista. Rimettere, nel contesto di valorizzazione dei rapporti unitari a sinistra, in pieno funzionamento il nostro partito, come territorio aperto e accogliente. Ripartire senza rinchiuderci, sia come corpo collettivo, che come capacità di proporre un indirizzo politico grazie al quale uscire dal pantano. Con l’obiettivo di ricominciare a lavorare ad un processo di unità della sinistra senza scorciatoie politiciste ed organizzative, che metta in primo piano il lavoro di radicamento sociale e una lettura adeguata della società italiana. Io penso da tempo che Rifondazione Comunista, spogliata dal politicismo e dal settarismo, possa – come peraltro avevamo immaginato alla conferenza di Massa – reinventare l’essere partito dentro l’esperienza di contaminazione delle forme dell’associazionismo e del movimento. Dunque nessuno scioglimento, ma nemmeno nessuna conservazione o ibernazione: al contrario sperimentazione avanzata del superamento delle forme escludenti della politica e ricerca aperta dentro ma soprattutto fuori di noi, tra le associazioni, i movimenti, le/i singole/i; nelle piazze, nei quartieri, davanti ai luoghi di lavoro. E per questo è bene in ogni caso attivare al più presto sedi di discussione politica dovunque, per ragionare collettivamente su quanto è successo, per evitare o quantomeno limitare il ripiegamento e il ritorno a casa delle compagne e compagni, con o senza tessera di partito. In questo senso propongo di cominciare subito, partecipando all’assemblea di Firenze di sabato 19 , promossa quasi un mese fa “per una sinistra unita e plurale” e che sarà il primo appuntamento a sinistra e di movimento, dopo il crollo elettorale del 13 e 14 aprile, e dunque un momento sicuramente importante. Ripartire da Rifondazione Comunista e dal movimento, con laicità e passione, per ricominciare”.

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