Un solo filo rosso per tre omicidi

di Redazione

CarabinieriCESA. Ieri mattina è stata eseguita l”autopsia disposta dal magistrato presso l”istituto di Medicina Legale di Caserta sul corpo di Domenico Belardo, l”imprenditore ucciso a colpi di kalashnikov lunedì.

Domenico BelardoEntro oggi la salma dovrebbe essere consegnata alla famiglia. I carabinieri non hanno dubbi: la matrice dell”agguato è di stampo camorrista perché camorrista è il ciclo del cemento che gestisce il sodalizio criminale che fa capo ai Casalesi, in quale, però, non è il solo a giocare la partita delle forniture ad Orta Di Atella. La maggior parte dei capizona nella cerniera atellana sono stati uccisi nel 2006 e gli omicidi, da allora, sono difficili da interpretare. Imprese di Marcianise, Giuliano, Sant”Antimo e San Cipriano D”Aversa si spartiscono gli appalti di palazzi e ville evitando di pestarsi i piedi l”uno con l”altro. Ma è probabile che essendo in tanti sullo stesso territorio qualcuno si sia sentito stretto. Così, a Natale, gli accordi sono saltati e tre persone sono state uccise. Il primo imprenditore è caduto a Cesa, nel territorio sotto l”influenza di Amedeo Mazzara; poi è stata la volta dei Verde: i sicari di «o”negus» hanno abbandonato l”auto nelle campagne di Lusciano per segnare il territorio, quasi a lasciare intendere che la direzione era quella di Casal Di Principe. La Lancia Thesis risultata rubata a Salerno trovata carbonizzata, aveva sul sedile una Beretta calibro 9 ed un fucile calibro 12, le armi del delitto; le stesse utilizzate per Cesario Ferriero a Cesa. La risposta non si è lasciata attendere: l”agguato teso a Belardo con armi da guerra che avrebbero potuto sfondare anche il motore di un auto, è l”ultimo atto di una vera e propria faida. Rapporti di affari di milioni di euro e non solo. In mezzo c”è anche tanto sangue. Le aziende che operano nel settore edilizio ora tremano ad Orta Di Atella e sotto i colpi dei sicari continuano a cadere solo imprenditori. Cesario FerrieroDalle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli emerge che in poco tempo Belardo, detto Mimì o”cafone, aveva beneficiato di piccole rendite di potere con la fondazione di imprese nate nel nolano o nel casertano che in poco tempo erano state anche chiuse. Non si esclude che la vita breve delle aziende fosse solo un alibi per riciclare il denaro sporco che veniva poi reinvestito nel business del mattone. E anche a Nola, infatti, porta la pista investigativa dei carabinieri del reparto territoriale di Aversa. Mimì o”cafone era stato indagato per associazione di tipo mafioso in un”ordinanza del 2006 in cui compare il nome di Marcello Di Domenico, capo del sodalizio camorristico operante nell”agro Nolano. Tra i presunti estorsori vicini a Di Domenico figura inoltre un atellano: Antonio Lamberti, di trentaquattro anni, arrestato nel dicembre 2006 dai carabinieri. Sodalizi che si rigenerano e si sostituiscono allargandosi e oltrepassando i limiti, sono alla base dell”ipotesi investigativa delle forze dell”ordine. Su Orta Di Atella sono rimasti in pochi a reggere le redini del clan. Isolato, ad esempio, potrebbe essere Mario Indaco che resta l”ultimo sopravvissuto di un gruppo in disfacimento.

Il Mattino (MARILÙ MUSTO)

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