L’omelia di fine anno del Vescovo Nogaro

di Redazione

Il Vescovo Raffaele NogaroCASERTA. “Per Caserta e per tutta la Campania oggi è un momento brutto, ma nonostante tutto voglio promuovere la speranza”.

Queste le parole che sono l’incipit dell’omelia che il vescovo di Caserta ha fatto in occasione del te deum di ringraziamento che si è tenuto nella cattedrale nel tardo pomeriggio della festa di San Silvestro. Una celebrazione che, come ogni fine d’anno, richiama una moltitudine di fedeli, ma che è anche l’occasione dello scambio di auguri tra le istituzioni e la curia casertana. Il governo era rappresentato dal vice prefetto Francesco Provolo, e dal sottosegretario alla pubblica istruzione Gaetano Pascarella, mentre per la provincia di Caserta era presente il presidente Alessandro De Franciscis e per il comune il sindaco Nicodemo Petteruti. Tra gli altri intervenuti, gli onorevoli Rosa Suppa e Domenico Zinzi, l’assessore provinciale Franco Capobianco, l’assessore Enzo Battarra, la direttrice della soprintendenza Giovanna Petrenga, il segretario cittadino dell’Udc Alberto Zaza d’Aulisio, il segretario cittadino dei Ds Franco Greco, il direttore dell’ospedale San Sebastiano Diego Paternosto e tante altre autorità e cittadini comuni. Un’omelia che è stata anche un saluto di commiato visto che, come lo stesso vescovo ha detto: “Sono sul viale del tramonto della mia missione dopo una permanenza al vertice della diocesi casertana di 18 anni”. Quello che l’aspetta nel 2008 sono: il 9 gennaio il 25esimo anniversario della sua consacrazione episcopale; il 29 giugno cinquant’anni di sacerdozio; il 31 dicembre, quando il prelato avendo compiuto 75 anni raggiungerà il limite d’età di fine mandato alla guida della Diocesi. E’ sul cammino della sua missione casertana che l’alto prelato ha incentrato la sua omelia, sottolineando i suoi limiti umani e il suo lungo apostolato orientato solo verso il bene della collettiva al di sopra di qualsiasi interesse ideologico o politico. Ad ispiralo sono stati due papi ritenuti fondamentali per la sua convinzione di fede Paolo IV e Giovanni XXIII: “Nel mio piccolo a me pare di potere riprendere il messaggio di Paolo sesto perché credo che in questi diciotto anni di permanenza a Caserta ho soltanto amato. Io, con qualche impulsività e forse con qualche capriccio di cui domando perdono, avevo come unico scopo l’amore per la mia gente. Per tutti indistintamente, anche se mi hanno segnalato come partigiano di qualche corrente politica, penso di non avere mai fatto differenze di persone. E’ con questo impulso che questa sera parlo con il cuore”. Ha continuato sottolineando il concetto di volere essere capito non accolto. E poi ulteriormente a sottolineare di essere un uomo con tutti i suoi difetti. E qui scaglia il primo dardo nei confronti della sua stessa chiesa. “Non condivido – ha continuato Nogaro – certi atteggiamenti della chiesa ufficiale, quel condannare, riprovare continuamente al quel dire contro alla modernità, al progresso, all’aborto anche, all’eutanasia, alle sperimentazione genetiche. E’ vero la chiesa deve illuminare, deve dire come stanno le cose nella loro verità, ma la chiesa è soprattutto madre. La chiesa deve cercare le opere della riconciliazione, della comprensione: Qualche volta ho l’impressione che sia come un autovelox sulla strada: ho la contestazione ed allora arriva la sanzione. Ma non è così. La Chiesa deve dire a tutti: siete affaticati ed oppressi, io vi do ristoro”. Ha meglio specificato il suo pensiero portando ad esempio il giudizio dei vescovi sulla vicenda di Piergiorgio Welby (l’esponente radicale che chiese ed ottenne dopo molte polemiche l’eutanasia e al quale la discesi di Roma negò il funerale religioso): “L’atteggiamento di giudizio nei confronti di Welby a me ha fatto tanto male. Perché la chiesa è misericordia altrimenti non è chiesa. La chiesa deve preoccuparsi di essere lievito e non controllo soltanto”. Ancora un anno, quindi, e poi padre vescovo rimarrà nella nostra città un comune cittadino. Della sua presenza a Caserta e del suo tormentato pensiero la storia saprà tutto. il 7 gennaio prossimo, in occasione della apertura dell’anno accademico dell’Istituto superiore di scienze religiose “San Pietro”, verrà presentato il progetto editoriale che si propone di pubblicare tutti gli scritti di Raffaele Nogaro. Saranno stampate cioè tutte le “parole” del suo magistero.

Relativismo e pensiero debole di Raffaele Nogaro

Il vescovo Raffaele Nogaro ha, solo, nell’introduzione accennato al grave problema ambientale della spazzatura che dimostra il fallimento di tutta la classe politica della Regione, province e comuni compresi. Si è augurato che il Macrico diventi polmone verde, che ci sia più lavoro per i giovani che non riescono a formarsi una famiglia, e che gli imprenditori investano di più e siano capaci di costruire aziende sane e senza precarietà lavorativa. A conclusione, il suo è stato un intervento che ha sancito il trionfo del relativismo e del pensiero debole, frutto di quel suo essere “partigiano” e sostenitore di una ideologia che ha portato, nel sua lunga presenza a Caserta, a svuotare la diocesi dei vecchi cattolici e democristiani e riempirla di vetero comunisti che pur dotati di buona volontà hanno solo aggravato i problemi di una provincia difficile. Battaglie sociali, il vescovo, ne ha affrontate ma alla fine la sua azione è rimasta in superficie senza andare in profondità delle questioni. Stupenda la lettera inviata al presidente della repubblica Giorgio Napolitano lo scorso autunno, per rivendicare la dignità dei lavoratori della Ixfin mortificati da una imprenditoria affaristica e bancarottiera, ma è rimasta senza risultato e senza risposta e tra poco i 900 lavoratori non sanno di cosa campare. Se ebbe successo la sua azione, quando intraprese la lotta controllo strapotere democristiano concentrato intorno al senatore Giuseppe Santanastaso e i risulti si ebbero con l’avvento di tangentopoli, nulla ha fatto nel sollecitare le amministrazioni “amiche” attuali e sulla pochezza amministrativa di giunte regionali, provinciali e comunali che hanno portato Caserta ad un declino così basso come non si era mai visto nella sua secolare storia. Anche quel essere contro alla sua chiesa lo fa somigliare, piuttosto che ad un “San Giorgio” a quegli esponenti dell’attuale maggioranza governativa che parlano male del proprio governo, ma che non lasciano mai il potere. Caserta ha bisogna di risorgere, ma la sua rinascita non può essere solo determinata dal tipo di università se deve essere monocentrica o policentrica, o se il rettorato dovesse stare nel capoluogo di Terra di Lavoro o com’è nella vicina Napoli. Oggi che si parla finalmente seriamente di abolire le province è acqua passata. La realtà vera e che l’ateneo che doveva essere la forza propulsiva per un rilancio socio economico, non lo è stato. Pur avendo dei grandi meriti di crescita, sono oltre 29 mila gli iscritti, con la sua presenza non ha migliorato più di tanto le condizioni sociali del territorio che è arretrato paurosamente dal boom di crescita degli anni settanta ed ottanta. Ed allora c’era solo il centro di addestramento professionale della regione. Eppure di quella crescita ne furono artefici uomini che provenivano dal cattolicesimo e che portano il nome Giacinto Bosco o don Salvatore d’Angelo gente che seppe indirizzare e furono gli ispiratori della politica, “clientare santanastasiana” ma pur sempre politica di crescita. Per la curia casertana sono tempi di bilanci ed anche questo va messo sul piatto.

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