Call Center tra i mali peggiori della società moderna

di Redazione

I tanti che lavorano nei call center vengono sfruttati e mal pagati, grazie anche alla normativa vigente Oggi il mondo dei precari viene attribuito solo ai giovani, è un enorme errore che confonde la realtà delle cose. Non è solo il giovanotto che appena uscito dall’università, oppure da una scuola superiore va in cerca di lavoro, lo trova ma non è stabile.

Oggi sono quasi tutti precari, tranne i privilegiati difesi dai sindacati che si battono per una causa, e poi si vendono al miglior offerente. A sostegno di una classe di lavoratori che hanno un lavoro stabile, in cui il licenziamento non è permesso. Se si gira per le strade del Belpaese, ogni angolo è occupato da lavoratori atipici, tutti quei nomignoli che hanno dato al lavoro, scovati dai più illustri vocabolari, in effetti dicono tutti la stessa cosa: “il lavoro fisso non esiste più”.

La precarietà è diventata lo strumento in mano ad una parte della classe politica che da anni combatte per la causa dei lavoratori, senza ottenere nulla. Ebbene, questi lavoratori atipici, come i tanti che lavorano nei call center, vengono sfruttati e mal pagati, grazie ad una legge che consente di mettere in condizione gli imprenditori di comportarsi in quel modo. I call center sono stati i primi sintomi di un malore per chi doveva trovare un lavoro, oltre ad essere un danno per i cittadini che si sono visti scippare qualsiasi approccio per far valere le proprie ragioni. Un tempo era possibile recarsi in un ufficio delle società Enel, Telecom ed altri apparati simili per discutere un problema. Oggi tutto è superato grazie ai call center, che sfruttano soltanto i giovani e i meno giovani, e non danno l’opportunità al cittadino di poter dialogare con estrema facilità con un dipendente di quelle aziende. Bisogna chiamare i call center, voluti da una classe politica che sta dimezzando il dialogo in questa società, eliminando qualsiasi approccio possibile per rivendicare le ragioni che ognuno di noi può avere. I call center da un lato hanno tolto il lavoro fisso, dall’altro hanno creato una miriade di problemi.

Call CenterChi di noi non si è dovuto rivolgere ad un call center per avere delle spiegazioni. Credo quasi tutti, dunque, ore di attesa per avere l’onore di poter parlare con un operatore, alla fine la ragione è sempre dalla loro parte, al cittadino non gli resta che piegare le spalle rassegnandosi ad “avere torto”. Ognuno di noi parla con un “fantasma”, non c’è più la possibilità di vedere in faccia alla realtà come un tempo, dobbiamo credere in quello che ci viene detto telefonicamente, anche se a volte riteniamo di avere ragione noi, alla fine ci arrendiamo per non perdere ulteriore tempo, coscienti di non avere sufficienti strumenti di dialogo per rivendicare le nostre ragioni. In fondo è così, ci sentiamo presi per i fondelli, ci battiamo per avere ragione ma alla fine hanno sempre ragione loro. Questo ulteriore cambiamento ha messo un bastone fra le ruote a migliaia di persone in cerca di un lavoro, prima era possibile sognare un posto in un’azienda di prestigio, oggi quelle stesse aziende hanno creato una serie di aziende satellite che si occupano appunto di call center. Condizioni di lavoro disagiate, bisogna operare in un metro quadro, con tante voci che ti circolano intorno, una retribuzione da fame, sempre che riesci a convincere il cliente che chiami. Laureati, disoccupati, diplomati, sono le vittime di questo scempio.

La sinistra dov’è? Quella vera, quella che si è battuta per anni per le cause dei lavoratori? Dove sono andati a finire, cercateli, da qualche parte devono pur essere. È vero una parte di loro sono diventati democratici unendosi in matrimonio con i vecchi uomini della Dc, ma l’altra parte, quelli che hanno deciso di mantenere alti i valori ideologici della sinistra, non dico radicale, ma che si avvicini a quello schema di difesa delle fascie deboli che un tempo era la politica della sinistra. Questi signori dove sono? Sanno che i call center sono la modernità a servizio di un sistema che sfrutta i lavoratori? Perché non si battono per farli chiudere e riportare il dialogo aperto con i cittadini nella società moderna? Parlano di disoccupazione e lavoro stabile ma, alla fine, il risultato resta invariato, perché i call center sono sempre lì, a fare da sponda ad un lavoro vero che non arriverà mai. In questo paese non c’è una politica seria a sostegno dei lavoratori, oltre a dare un aiuto economico a chi perde un lavoro o è in attesa di un lavoro.

In Danimarca c’è libertà di licenziamento, eppure la disoccupazione è inesistente. In quel Paese esiste una politica sociale a sostegno di chi perde un lavoro e di chi è in cerca di un lavoro. Nonostante si licenzi facilmente, il lavoro è reperibile e le condizioni di lavoro sono migliori di quelle esistenti in Italia. Se altrove sono in grado di mettere in atto politiche sociali a favore delle fasce deboli, non parlo soltanto dei lavoratori, pure di tutti quei pensionati che sono costretti a vivere con 480 euro al mese, perché in questo paese, nonostante la sinistra sia radicata bene, non si riesce ad avere un approccio migliore con i problemi sociali? Il divario esistente tra le ideologie e la realtà esecutiva è diviso da un abisso di chiacchiere che mai porteranno ad un definitivo e reale sostegno a beneficio dei cittadini che hanno bisogno dello Stato per superare momenti di difficoltà. I call center sono stati creati per questo: realizzare un “ponte” con le tante difficoltà esistenti nel mondo del lavoro, un “tampone” che spostasse la disoccupazione verso un lavoro precario che mai darà ai tanti giovani, ripeto e non solo ai giovani, una stabilità economica per crearsi un futuro.

Le condizioni per cui si è spostato l’asse verso il precariato sono dovute all’enorme tasso di disoccupazione, che investe maggiormente il sud, cercando di trovare una strada alternativa ad un problema, il quale, da anni, è l’argomento di battaglia della classe politica nelle campagne elettorali. Purtroppo il giorno dopo tutto ritorna come prima, e i tanti giovani e disoccupati continuano a vivere di speranza aspettando altri cinque anni nell’illusione che qualcosa possa cambiare in termini di lavoro.

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