Puc, un giovane tecnico: “Non pensare solo a indici edificatori”

di Redazione

 GRICIGNANO. In vista dell’approvazione del nuovo Piano Urbanistico Comunale riceviamo e pubblichiamo un’analisi tracciata dal giovane architetto gricignanese Antonio Tessitore.

Fare un’analisi dettagliata del territorio richiede tempo, lavoro approfondito ed esperienza. Tuttavia, posso fare delle osservazioni, o meglio dare un contributo, da libero cittadino, nonché da studente della materia.
Innanzitutto, occorre specificare che un piano regolatore (oggi definito Piano Urbanistico Comunale) ha lo scopo di dettare delle regole per governare le trasformazioni del territorio in coerenza con le previsioni e con le visioni che una comunità si dà: ovvero serve a governare il territorio in una prospettiva di medio – lungo periodo, non ad attuare politiche di sviluppo economico congiunturali.
Tralasciando la gestione del passato, mi verrebbe da chiedere a tutti gli addetti ai lavori (amministratori, tecnici e cittadini) di stemperare gli animi, perché guardando l’ultimo consiglio comunale e i recenti accadimenti circa la nomina del responsabile del settore urbanistico (colgo l’occasione per salutare e augurare buon lavoro al nuovoresponsabile del settore urbanistico dell’area tecnica architetto Anna Cavaliere), si percepisce che non vi è un clima disteso, che invece dovrebbe essere essenziale per riuscire a lavorare proficuamente su una tematica così complessa.
Ci terrei a sottolineare la fondamentale importanza del ruolo dei cittadini e mi auspico che essi siano davvero parte integrante della redazione del nuovo “Piano Urbanistico Comunale” [Come previsto ai sensi di legge 16/2004 Regione Campania, articolo 5 Partecipazione e pubblicità nei processi di pianificazione].
Al fine di perseguire il buon esito della realizzazione del “Puc”, vorrei citare alcuni tra i più importanti studiosi dell’urbanistica italiana, come Ludovico Quaroni, che nel 1972 scrive: “… dall’architettura s’è distaccato a sufficienza per vedere gli errori e la vanità di questa strana congerie bastarda di pseudo-artisti, spesso, e più spesso di pseudo-intellettuali, di politicoidi, di professionisti incapaci, di persone senza uno spirito di corpo, uno stile e una tradizione di categoria, che non sia quella di servire il potere e la speculazione”. [LUDOVICO QUARONI, Introduzione a BRUNO TAUT, Corona della città (Die Stadtkrone), Mazzotta Editore, Milano 1973.]

“Il duro giudizio espresso da Quaroni sulla categoria dei suoi – e nostri – colleghi mette in risalto la diffusione della figura ibrida del progettista–politico che, al di là di ogni altra considerazione, evidenzia in modo lampante l’irrilevanza alla quale viene condannata dalla prassi corrente la nostra disciplina: per ottenere risultati tangibili è necessario indossare la casacca del “politico” con continuità e dedizione – fare un altro mestiere – trascurando la matita, con gli ovvi risultati che ne derivano. La fabbricazione del piano urbanistico di una città è un atto eminentemente politico, rispetto al quale il progettista è chiamato a svolgere il ruolo di consulente tecnico dell’Amministrazione, lasciando ai componenti di quest’ultima il loro mestiere di aggregazione del consenso intorno alle scelte di piano e di sintesi politica. In una situazione di generale confusione dei ruoli, aggravata dall’appesantimento delle procedure e dalla drammaticità delle condizioni di molte realtà urbane, il lavoro dell’urbanista diventa – per esperienza di ogni leale operatore del settore – sempre più difficile e, contemporaneamente, inefficace. Facendo un paragone che rimane nella storia della nostra disciplina, è come se si chiedesse ad un chirurgo dall’incerta professionalità di operare un malato molto grave, utilizzando strumenti vetusti o comunque inadeguati: nel più vantaggioso dei casi la situazione del paziente è destinata a non migliorare. Le difficoltà a cui si va incontro non sono tuttavia un alibi per non operare: mai come oggi il territorio, i paesaggi e gli spazi urbani sono aggrediti da trasformazioni che ne minacciano la dilapidazione o il degrado e quindi urge la pianificazione (o il governo del territorio che dir si voglia)”. [Leonardo Benevolo piano urbanistico comunale di Acerra 2009]

Invece, per quanto riguarda l’aspetto tecnico:

La legge urbanistica regionale n. 16/2004 scinde, come chiarito dall’art. 9 del Regolamento regionale n.5 dell’agosto del 2011, le previsioni urbanistiche comunali in due livelli: “strutturale” ed “operativo”.

La divisione del piano urbanistico comunale (il vecchio “Piano regolatore generale” della Legge urbanistica nazionale n. 1150/1942) in previsioni strutturali e previsioni programmatiche previsto dalla legge regionale campana accoglie le proposte avanzate dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU) negli anni 80’ e ’90 e sperimentate in alcune Regioni sin dalla metà degli anni ’90 (in primis: Toscana ed Emilia Romagna).

La riforma nasce dalla constatazione del basso livello di attuazione delle previsioni dei vecchi Prg e dalla volontà di riequilibrare il regime giuridico delle destinazioni pubbliche con quelle d’interesse privato: le previsioni strutturali, avendo valore di tipo previsionale e non prescrittivo, configurano un disegno generale (masterplan) che incide direttamente sul territorio (e sulla proprietà privata) solo relativamente ad un sistema di invarianti territoriali – elementi emergenti e/o relativi a vincoli provenienti da provvedimenti dello Stato e delle Regioni – per le quali è solo possibile, come sancito dalla Corte costituzionale, comprimere l’edificabilità privata senza indennizzo. Per questo il masterplan strutturale, deve essere, anche graficamente, un prodotto più schematico del vecchio, iperdisegnato e rigido, Piano regolatore generale; il masterplan recepisce gli elementi di struttura delineati dal quadro sovraordinato (ad esempio dal Piano territoriale di coordinamento provinciale), delimita le aree che vanno sottoposte a regime di tutela a tempo indeterminato e costruisce l’ossatura progettuale del piano. Sia le previsioni di espansione (residenziale, produttiva), sia le previsioni di servizi pubblici assumono invece mero carattere schematico, essendo demandato ai piani operativi (o “programmatici”) la loro individuazione, il loro dimensionamento e le priorità di attuazione.

[Il Piano urbanistico comunale: principali differenze concettuali rispetto al vecchio PRG]

Quello che si percepisce oggi a Gricignano è un degrado che va dalla mancanza di servizi primari, all’assenza di regolamentazione di intere zone, compagine urbana caotica, con gravi deficienze nelle infrastrutture, anche primarie, e nella dotazione di servizi pubblici in generale.
Da queste indicazioni, quello che proporrei è di redigere un piano a piccoli passi (intesi come vari step) perché il “piano” va discusso e definito con la società locale, magari attraverso un percorso partecipativo che attraversi tutta la “città” per stimolare, parlare, e ascoltare, ovviamente mantenendo sempre distinte le due sfere: quella della gestione tecnica – dell’urbanistica – e quella della gestione politica del piano.

Ecco che tutti finalmente (Tecnici, Amministratori, Cittadini) potrebbero parlare la stessa lingua, ma attenzione a non incentrare il dibattito esclusivamente intorno a “indici edificatori”; invece di introdurre una volta e per tutte, nuovi concetti; concetti concreti, inerenti la forma ed il funzionamento della “città”, salvaguardare l’uso agricolo del suolo, zone di completamento con l’obiettivo prioritario dell’edilizia sociale, ristrutturazione e riqualificazione del patrimonio abitativo inutilizzato o sottoutilizzato, introdurre una politica green diffondendo buone pratiche che riguardino la tutela e la valorizzazione dell’edificato esistente, attraverso la promozione del risparmio energetico, delle energie rinnovabili e dell’uso intelligente dell’energia con la necessità di provvedere alla manutenzione del territorio, ponendo l’accento sul reale bisogno di mitigare i rischi e valorizzare le risorse.
Antonio Tessitore

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