Cioffi: “La Tarsu non è soggetta ad Iva”

di Redazione

Alessandro CioffiMADDALONI. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in materia di tasse per lo smaltimento dei rifiuti, afferma, nella sentenza n. 238 del 24 luglio 2009, che sulla Tarsu, e sulla Tia, non è possibile applicare lIva.

Il risultato di questa importante pronuncia è che tutti i cittadini potranno chiedere il rimborso di quanto indebitamente versato. Vediamo perché. Ad oggi esistono due tipologie di tributi relativi allo smaltimento dei rifiuti: la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (detta Tarsu) e la tariffa d’igiene ambientale (anche detta Tia). Tutto nasce da due questioni di legittimità costituzionale sollevate, rispettivamente, dal Giudice di Pace di Catania e dalla Commissione tributaria di Prato.

I temi, posti all’attenzione della Corte Costituzionale, riguardavano l’asserita incostituzionalità delle norme che attribuiscono alla competenza delle commissioni tributarie le controversie relative in materia di tariffa d’igiene ambientale. In sostanza i giudici remittenti, nell’asserire l’incostituzionalità delle norme che disciplinano il contenzioso tributario, pongono l’accento sulla diversa natura di Tarsu e Tia. Infatti, per quei casi in cui continua ad applicarsi la Tarsu non si sollevano eccezioni: essa è una tassa e come tale le controversie giudiziarie che la riguardano devono essere affrontate dinanzi alla Commissione tributaria competente. Diversa è la situazione che riguarda la Tia: secondo i giudici di merito la tariffa d’igiene ambientale non è un tributo, bensì un corrispettivo a carattere privatistico per le prestazioni (rimozione rifiuti) effettuate.

La Corte Costituzionale, per dipanare la questione, espone – con una ricostruzione del lungo e frastagliato panorama normativo – come si è arrivati all’istituzione della Tarsu, della Tia (che nelle originarie intenzioni doveva sostituire la prima) ed infine chiarisce, sulla base dell’attuale situazione legislativa, la natura giuridica di questi contributi. Il risultato è il seguente: ad oggi in alcuni Comuni si applica la Tarsu, in altri la Tia e ambedue devono essere considerate delle tasse. Se per la Tarsu non erano mai sorti dubbi inerenti la qualificazione giuridica, il discorso diverso è per la tariffa d’igiene ambientale che, proprio per essere stata nominata tariffa, ha portato diversi addetti ai lavori, ivi compresi i giudici di Catania e Prato, a ritenere che si trattasse di un corrispettivo di diritto privato, al pari un qualunque compenso per la prestazione di un servizio.

Contrastando questa visione delle cose, la Corte Costituzionale afferma che per una corretta valutazione della natura della tariffa di igiene ambientale (Tia), è invece opportuno muovere dalla constatazione che tale prelievo, pur essendo diretto a sostituire la Tarsu, è disciplinato in modo analogo a detta tassa, la cui natura tributaria non è mai stata posta in dubbio né dalla dottrina né dalla giurisprudenza.

Conseguentemente, deve procedersi ad una approfondita comparazione tra il prelievo tributario sostituito e quello che lo sostituisce, sotto i profili della struttura, della funzione e della disciplina complessiva della fattispecie dei prelievi (C. Cost. 24 luglio 2009, n. 238). Da questa sostanziale identità di scopo dei due tributi, la Corte Costituzionale fa discendere un’importante conseguenza che è poi, in termini pratici, la parte più interessante della sentenza. Secondo il giudice delle leggi, infatti, un altro significativo elemento di analogia tra la Tia e la Tarsu è costituito dal fatto che ambedue i prelievi sono estranei all’ambito di applicazione dell’Iva.[…]

Non esiste, del resto, una norma legislativa che espressamente assoggetti ad Iva le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti (C. Cost. cit). Ciò tradotto in soldoni, vuol dire che i Comuni hanno percepito delle somme che non gli spettavano,ulteriori rispetto a quelle dovute quale tassa per il servizio di smaltimento rifiuti.

Per fare un esempio, se un cittadino doveva pagare 1.000 euro di Tarsu o Tia, con l’applicazione dell’Iva ha pagato 1.100 euro. In seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale questo prelievo aggiuntivo è da considerarsi illegittimo, motivo per il quale chi ha intenzione di chiederne il rimborso, potrà farlo con riferimento ai tributi degli ultimi cinque anni (termine di prescrizione in materia di tasse). E’ chiaro che il rimborso, soprattutto se chiesto da numerosi contribuenti, potrebbe creare più di qualche difficoltà finanziaria agli enti coinvolti. Vista la situazione, da più parti è stata paventato il rischio dell’adozione di qualche norma riparatrice che eviti ai Comuni ed allo Stato quello che può essere definito un vero e proprio salasso.

Allo stato attuale, però, chiunque abbia pagato e voglia ottenere il rimborso delle eccedenze, potrà indirizzare al Comune interessato una lettera raccomandata di formale messa in mora per la restituzione di quanto dovuto.

Alessandro Cioffi, presidente della “Civitas è”

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