Alba Nuova: “Un Nobel a Saviano per Casale”

di Redazione

Roberto SavianoCASAL DI PRINCIPE. L’Oscar a Gomorra ed il Nobel a Saviano: pare la giusta conclusione per un itinerario culturale e civile che ha rimesso al centro del dibattito la libertà di pensiero.

E proprio sulla scorta della formazione e l’autodeterminazione del libero pensare si ritiene doveroso focalizzare l’attenzione su alcuni particolarissimi aspetti di una vicenda, quella della Città di Casal di Principe, che sta assumendo tinte davvero fosche. È in atto un autentico martirio per questa sfortunatissima comunità di esseri per la maggioranza miti lavoratori perfino dotati d’infinita pazienza ed altrettanta capacità di sopportazione.

La facile generalizzazione cui è sottoposta la Città con tutto quel che contiene (cose, esseri e pensieri) sta producendo un danno ancor più grande del problema stesso. L’equazione casalesi = mafia, declinata in ogni luogo mediatico e sparsa ai venti per tutti i continenti, sta paradossalmente moltiplicando il “problema” assicurandogli una forza di penetrazione nelle coscienze senza pari: un milanese, piuttosto che un finlandese o un sudCoreano proveranno ovvio orrore (e paura, sdegno e terrore) per questa terra ed i suoi abitanti come, viceversa, per effetto della fisica delle compensazioni un casalese, uno qualsiasi, uno a caso, proverà altrettanta rabbia per l’indistinto trattamento ricevuto e reagirà nel peggiore dei modi possibili, ovvero mettendosi, minimo di traverso, contro tutto e tutti. Quel che si vuole evidenziare è che libertà d’espressione, di pensiero e d’informazione vanno intese e praticate all’unisono e nell’insieme. Proveremo a spiegare meglio. Negli ultimi mesi la carovana multimediale ha praticamente preso d’assalto Casal di Principe alla ricerca spasmodica dello scoop.

Non c’è stata trasmissione, articolo o servizio in cui, con ogni mezzo, l’operatore mediatico di turno, non abbia provato a pescare nel torbido. D’altro canto, qui, è come buttare la rete nel fiume in piena: inevitabilmente si pesca proprio di tutto: dal pesce al rottame. E son scorse immagini davvero desolanti di una comunità che sta dando di se un’immagine (subdolamente rappresentata) ondivaga ai limiti della decenza, omertosa, incattivita, sfrontata e perfino sorpresa per il tanto clamore. “Ma è vero che qui c’è la mafia?”. Ma che domande sono, verrebbe da dire! e con la certezza di finire nel Tg delle 20 cosa si pretende che possa rispondere un commerciante, un imprenditore, o un qualsiasi altro cittadino? Però il giornalista il suo minuscolo scoop quotidiano l’ha fatto dimostrando che l’omertà, a Casale, regna sovrana e che i boss godono dell’appoggio incondizionato di tutti.

E così in trenta secondi, tra una rabbiosa dichiarazione di un giovanetto imberbe e sprovveduto e l’anziana commerciante che glorifica le amenità del luogo si consuma la peggiore specie di “sciacallaggio mediatico” considerato anche il fatto che ben altre voci, in questo bailamme, non trovano, appunto, voce. Sicchè se l’intervistato declama una scemenza, pure grande, ma funzionale all’immagine predefinita di omertà, terrore e violenza, conquista immediatamente spazio perché, come si dice, buca lo schermo. Se invece, sempre il malcapitato intervistato, si sofferma in modo problematico a parlare dei molti guai, vecchi e nuovi, di questa comunità, quei cinque sei minuti di sofferta esternazione vengono valutati ininfluenti ed inutili alla causa mediatica e le relative registrazioni ritenute praticamente sprecate. Questo è.

Semplice e drammatico e così capita pure che nel giro di poche settimane dei feroci killer, ai più prima sconosciuti, balzino prepotente alla ribalta conquistando punti su punti, azione dopo azione, scalando verticalmente quella speciale classifica dei famosi ad ogni costo e non stupirebbe se fossero perfino convocati d’urgenza nell’isola della Ventura per elevare l’audience. Da quel che è capitato e sta capitando a Casal di Principe l’unica osservazione possibile è che il circo mediatico sta rendendo un pessimo servizio. Non sta aiutando la causa dei “giusti” e degli onesti.

Sta esaltando oltre misura le azioni negative. Sta regalando notorietà ed implicita forza a chi invece andrebbe combattuto totalmente isolandolo. Non farebbe male, in proposito, rammentare il mito d’Erostrato, sebbene lo stiamo appunto ricordando. Ciò che le autorità dell’epoca concepirono come vera pena da comminare al piromane ansioso di gloria eterna fu il divieto assoluto di usare quel nome e di tramandare la memoria di quel folle gesto (l’incendio del Tempio di Artemide ad Efeso nel 325 a.c.). Ovviamente tanto eclatante fu l’atto che stiamo ancora qui a parlarne, ma le intenzioni e le ragioni di quegli antichi giudici erano sicuramente meritevoli d’essere, in talune circostanze, prese in seria considerazione. E quella di cui stiamo dibattendo è, appunto, una di quelle circostanze.

Si rivendica il diritto di cronaca e lo stesso Roberto Saviano ringrazia quanti, parlando e scrivendo dei fatti e della gesta dei “casalesi”, hanno squarciato il velo steso su una delle più tragiche realtà mafiose d’Italia. Giustissimo, ma, attenzione a non fare il gioco dell’avversario. Intanto si tratta di squarci e buttando l’occhio in uno spaccato relativo se ne percepisce una minuta parte ed in più si finisce per far da cassa di risonanza: la reclame, la pubblicità. E poi, nella spasmodica ricerca del sensazionale, si generalizza, si banalizza, si accomuna tutti nello stesso informe e velenoso blob. Così la reazione, anche del più semplice e distaccato dei cittadini, diventa fastidio per qualsiasi ingerente presenza che purtroppo potrebbe venir interpretata quasi come ulteriore “istigazione a delinquere” per cercar la fama, la gloria, l’eternità, costi quel che costi. E tutto sta proprio costando davvero troppo! Ma vediamo cos’è Casal di Principe in questo scorcio d’autunno 2008. Per sgombrare il campo diciamo subito che moralmente la Città è rappresentabile come un cumulo di macerie fumanti. La gente è stanca, spossata, squassata: in una parola annichilita.

La democrazia è di fatto sospesa. I partiti languono. Il personale politico autoctono rigorosamente tace. La vita amministrativa lenta scorre come in un lucido acquario dimenandosi tra crisi ecologica (i rifiuti continuano ad essere un grosso problema malgrado tutto) e normale amministrazione del dolce far niente. Il malaffare, come sempre, si compone, scompone e rifonda in nuove forme organizzate e morti, arresti e pentimenti rientrano nel più classico dei copioni. Nulla di nuovo all’orizzonte. Una specie di déjà vu. Intanto l’esercito presidia incroci, slarghi e viuzze. Ed anche questo s’era già visto prima; molto prima. Nel secondo secolo avanti cristo i romani, spazientiti e stanchi di farsi depredare carovane e cavalli dalle locali popolazioni qui radicate insediarono una Centuria ben nutrita ed agguerrita. Come andò realmente Dione Cassio non lo dice, ma c’è da supporre che nel corso dei secoli a seguire le cose non dovettero procedere per il verso giusto dal momento che Mussolini nel dicembre del 1926 mandò nei Mazzoni un Maggiore dei Carabinieri con una precisa consegna: “liberatemi da questa delinquenza con il ferro e con il fuoco!”.

Nei cinque mesi successivi furono arrestate 2.967 persone nel territorio compreso tra Aversa ed i Mazzoni. Considerati i livelli demografici dell’epoca quel numero è davvero impressionante. Evidentemente, se stiamo ancora qui a dibatterne animatamente e la “cosa” ha varcato tutti i confini del mondo a noi noto, vuol dire che l’opera di bonifica militare e giudiziaria perseguita dal fascismo, pur ostinata e radicale, non intaccò la forza criminale di quelle genti. Solo andò montando un quasi naturale odio nei confronti di ogni autorità costituita, ovvero quell’intimo collante che oggi tiene insieme politica, affari, malaffare, criminalità ed economia.

Allora, se le lezioni di Storia servono (e si che servono, ma troppo spesso nicchiamo sornioni) c’è da riflettere parecchio sul ruolo dello Stato e del modo e le varie forme con cui, nel corso dei tempi, s’è presentato qui, in queste “plaghe desolate” (la definizione è sempre del duce, bontà sua!). Giusto come premessa di metodo va detto che da sempre, fin dalla notte dei tempi, il rapporto tra gli autoctoni e le autorità variamente costituite s’è sempre sviluppato sul filo della totale estraneità degli uni con gli altri. Questa è stata sempre e storicamente terra di frontiera, luogo insalubre assai dove temporaneamente parcheggiavano gli eserciti dei vari conquistadores.

Dunque un rapporto conflittuale, molto poco civile, fondato sull’esclusiva capacità di difendersi ed offendere degli uni come degli altri. In definitiva il valore della vita, come della cultura e perfino della memoria storica è stato, sempre, nullo. L’unico paradigma praticabile lungo il complesso crinale della storia è stato, era ed è la semplice sopravvivenza, che, considerate le condizioni del caso, è già tanto. Questa è, sic et simpliciter, la penosa situazione in cui versa ancora oggi 2008 Casal di Principe: ma che fare?

Come si scriveva poche righe sopra la classe dirigente della Città è praticamente esangue, debole e la sua iniziativa spenta. Inutile attendersi scatti d’orgoglio e prese di coscienza: non esistono le condizioni minime, né il personale adatto affinché il quadro politico locale possa riuscire ad esprimere un qualche valore propositivo diventando, di fatto, punto di riferimento della necessaria rinascita della Città. D’altro canto gli stessi cittadini onesti – che poi non sono affatto pochi (malgrado le generalizzazioni mediatiche) – non sanno né come, né verso chi rivolgere l’attenzione per organizzare un improbabile eppur tanto sperato riscatto. Tante volte lo Stato, con tutte le sue articolazioni, ha profondamente deluso disattendendo le speranze più minute confondendosi invece con l’esatto contrario (si perdoni l’eufemismo, ma chi vuol capire ben comprende). Però, ciò malgrado, urge fare qualcosa.

Negli animi dei tanti di questa Città si agita la rabbia e l’orgoglio. Essere costantemente confusi con i mafiosi di turno per chi da sempre ha praticato ben altre vie è qualcosa che colpisce nell’intimo: è un doloroso colpo al cuore, appunto! Ed è perfino pericoloso, perché sentirsi lepri braccate può far venire voglia di “cacciare le unghie” ed assurgere al rango di felini feroci e siccome il brodo primordiale in cui si agitano e forgiano le anime casalesi è denso d’umori nefasti e cruento per impostazione storico/genetica non è per nulla difficile scorgere i segni evidenti delle possibili metamorfosi: il coniglio che si fa lupo! Ed eccoci a Saviano, al suo libro ed alla sua storia personale.

La relazione sta tutta nel confronto tra il dissenso sfrenato, il consenso incondizionato e tutto quel che c’è nel mezzo. Saviano è, appunto, l’occasione per i “giusti” di fissare un punto dal quale partire per riaprire il dibattito su cos’è diventata questa Città, su come affrontare i problemi, su quale tipo di presenza dello Stato sarebbe necessaria, eserciti a parte. E poi su come rileggere la nostra locale storia per capire le criticità e ancor più scorgere le possibilità. Ma vanno evitate accuratamente le mitografie. Di Erostrato e colleghi son pieni i libri di Storia e non se ne può. Di icone, simboli, slogan e di tutto quel che riduce il pensiero ad un bignamino è opportuno cominciare a farne a meno. C’è bisogno di ragionare, parlare, comunicare. Creare cultura, pensieri, azioni. Fare economia, governare i processi di cambiamento, gestire le crisi, proiettare la Città in avanti, in un unico concetto. Per fare tutto ciò è decisivo che i riflettori vengano accesi sulla Città nel suo complesso, che l’informazione informi pure che dall’alba al tramonto Casal di Principe, pur stretta nella terribile morsa della crisi economica, è un brulicare instancabile di attività rigorosamente lecite; che sulla stampa vengano pubblicate integralmente anche le poco mediatiche parole dei tanti che non cercano il colpo ad effetto, da qualunque direzione del campo venga; che nei servizi televisivi da questa frontiera emerga finalmente un dato oggettivo: ci vuole un coraggio immenso per continuare a vivere qui, sottoesposti ed in balia di tutti i venti, i mari e le tempeste.

Allora Saviano è l’occasione giusta per tentare un nuovo inizio, ma Saviano deve fare qualcosa per questa Città: non basta scrivere libri con nomi e cognomi, squarciare il velo, seppur parzialmente, far debordare le storie che ci riguardano oltre la frontiera ed oltre ogni confine. Saviano deve devolvere quel Nobel che s’appresta a vincere alla Città di Casal di Principe, ai suoi abitanti, orgogliosi di essere Casalesi, coraggiosi perché continuano a viverci. Tutto ciò per migrare la sua personale “sovraesposizione” verso l’intera collettività casalese. Atti del genere, gesta, queste si eroiche e di tal fatta potrebbero far scattare la scintilla che tanti da tempo provano a suscitare, ma senza brillanti risultati. Quindi non un Nobel per Saviano, ma il Nobel a Saviano per Casale.

E non è una differenza da poco. Questo si aspettano tanti giusti, tanti onesti e tanti altri ancora che vorrebbero poter avere la loro personalissima occasione per rientrare nell’alveo della civiltà. Infine lo Stato. Quello Stato che baldanzoso come il governo che lo rappresenta è tornato qui per l’ennesima volta. Dal momento che si stanno investendo notevoli energie, sarebbe anche il caso di ben definire e delineare l’obiettivo che si intende raggiungere. I proclami non servono, gli eserciti ancor meno e lo stanno a dimostrare i fallimenti storici delle centurie romane e delle legioni fasciste: cosa accadrà, ai tempi d’oggi, il minuto dopo la smobilitazione?

È evidente che la situazione d’emergenza necessita di ben altre attenzioni. Socialità, economia, cultura e giustizia. Esattamente ciò che è sempre mancato. Infatti negli ultimi 17 anni si sono alternati 5 Sindaci e ben 6 Commissioni Straordinarie senza dare soluzione alcuna nemmeno al più piccolo dei problemi che storicamente assillano la comunità. Alle inefficienze dell’ordinaria amministrazione si sono aggiunti i danni morali, ovvero quelli determinati da una mancata visione straordinaria delle complesse problematiche locali. Così è montata una crescente delusione fra la popolazione che inizialmente aveva riposto grandi aspettative nell’intervento dello Stato.

Nel 91, un bel po’ prima di Spartacus, ci fu un primo e purtroppo infruttuoso intervento su cui, però, la Città aveva scommesso tutta se stessa. Dopo quel fallimento ne sono venuti altri che via via hanno affievolite le speranze della gente semplice e comune fino all’attuale condizione di totale disincanto, scetticismo e serpeggiante disperazione. Queste in estrema sintesi le motivazioni per le quali sarebbe quanto mai opportuno un intervento ragionato dello Stato, un intervento mediato con la Città, un intervento con degli obiettivi chiari: organizzare il rientro graduale di Casal di Principe nella legalità evitando nello stesso tempo che certe invasioni, chiamiamole pure “occupazioni militari”, provochino una sorta di moltiplicazione dei problemi. E questo genere di presenza e di impegno può essere garantito solo da uno Stato capace di guardare la sostanza dei fatti ed agire di conseguenza, senza clamori, senz’aspettarsi medaglie e premi, ma con la convinzione di rendere un servizio pubblico alla collettività in un contesto dove è difficile perfino mostrare d’aver aver paura.

Un premio Nobel a Saviano per Casale, dunque! Perché l’affermazione dei principi del libero pensiero e della libera informazione hanno valore universale, e ribadirlo per uno scrittore significa anche trasferirlo sull’intera comunità di Casal di Principe affinché, come recita l’appello, sia chiamato “lo Stato alla sua responsabilità, perché è intollerabile che tutto questo possa accadere in Europa e nel 2008”. Questa Città ha bisogno di rialzarsi. La si aiuti a farlo!

Il presidente di “Alba Nuova”, Alessandro Diana

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