Una manciata di minuti nell’aula bunker di Mestre è bastata per mettere il sigillo sull’ergastolo di Filippo Turetta. Davanti alla Corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Michele Medici, è stata formalizzata la rinuncia all’impugnazione da parte della Procura generale di Venezia e dello stesso imputato, reo confesso dell’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Senza neppure il passaggio in Cassazione, la vicenda giudiziaria per il delitto dell’11 novembre 2023 si chiude qui: in aula erano presenti soltanto i legali, mentre Turetta è rimasto dietro le sbarre del carcere di Verona.
Il processo si ferma in appello – Il 14 ottobre il 23enne aveva rinunciato ai motivi d’appello, accettando il verdetto di primo grado. Il 6 novembre anche l’accusa ha scelto di non andare oltre, prendendo atto della sentenza pronunciata il 3 dicembre 2024, con cui l’imputato è stato riconosciuto responsabile di omicidio premeditato, ma senza il riconoscimento delle aggravanti della crudeltà e dello stalking.
La lettera di Turetta e l’assunzione di colpa – A motivare la rinuncia alla difesa, una lettera inviata dall’ex fidanzato della vittima – assistito dagli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera – in cui Turetta ha dichiarato di assumersi la “piena responsabilità” dell’omicidio “di cui mi pento ogni giorno sinceramente dal profondo del cuore”. Un passaggio che segna, almeno sul piano giudiziario, la fine della contesa processuale e apre per lui un nuovo capitolo: quello della giustizia riparativa.
Giustizia riparativa, il nuovo percorso possibile – Archiviati i processi, Turetta può ora concentrare i propri sforzi su un diverso piano di espiazione, quello introdotto dalla riforma Cartabia. La giustizia riparativa prevede il coinvolgimento diretto delle parti attraverso un percorso di ascolto, confronto e riconoscimento del danno provocato. Non sostituisce la condanna, ma la affianca, offrendo uno spazio di responsabilizzazione ulteriore. Il giovane ha però deciso di intraprendere questo cammino solo nel caso di consenso preventivo del padre di Giulia, nonostante la legge consenta l’avvio del percorso anche in assenza del via libera della famiglia della vittima.
La posizione del padre di Giulia – Le parole di Gino Cecchettin sembrano allinearsi a questa scelta di non prolungare lo scontro giudiziario. “Non esiste una giustizia capace di restituire ciò che è stato tolto, ma esiste la consapevolezza che la verità è stata riconosciuta e che le responsabilità sono state pienamente accertate”, ha detto, dopo aver appreso del mancato appello. “Continuare a combattere quando la guerra è finita è, in fondo, un atto sterile. La consapevolezza che è il momento di fermarsi, invece, è un segno di pace interiore e di maturità, un passo che andrebbe compiuto più spesso. La giustizia ha il compito di accertare i fatti, non di placare il dolore. Come padre, ho scelto da tempo di guardare avanti, perché l’unico modo per onorare Giulia è costruire, ogni giorno, qualcosa di buono in suo nome”.

