Si è calato dal muro della casa-lavoro di Castelfranco Emilia e, dal suo nascondiglio, ha preso carta e penna per spiegare perché è scappato: Elia Del Grande, 50 anni, ricercato per aver sterminato padre, madre e fratello a Cadrezzate 27 anni fa, affida a VareseNews una lunga lettera in cui accusa il sistema delle case-lavoro e rivendica di non aver “evaso”.
La fuga – Del Grande, ritenuto “socialmente pericoloso”, viveva da due mesi nella casa-lavoro del Modenese, dove è arrivato dopo aver scontato 26 anni e 4 mesi di carcere su 30 per la cosiddetta “strage dei fornai”. Da lì è scappato “calandosi dal muro di cinta”.
La lettera – «Avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un lavoro, dando tutto me stesso, avevo ritrovato una compagna, un equilibrio, i pranzi, le cene, le bollette, le regole della società. Tutto questo svanito nel nulla per colpa di un giudice. Trattato peggio di un detenuto». È il passaggio con cui l’uomo sintetizza il suo stato d’animo e la scelta di “allontanarsi”.
L’accusa alle case-lavoro – «Il mio gesto è dovuto alla totale inadeguatezza che ancora incredibilmente sopravvive in certi istituti, come le case lavoro, che dovrebbero tendere a ri-socializzare e reinserire con il lavoro. Sono in realtà i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari, dismessi nel 2015 […] cosa che non è accaduto per le case al lavoro che in realtà sono recipiente di coloro che hanno problemi psichiatrici e che non hanno posto nelle Rems». Del Grande parla di «terapie in dosi massicce» e di un’organizzazione «identica a quella dei regimi carcerari», dove «le case di lavoro oggi sono delle carceri effettive in piena regola con sbarre cancelli e polizia penitenziaria».
“Internati senza via d’uscita” – «Chi è sottoposto alla casa di lavoro non è un detenuto, bensì un internato, ovvero né detenuto né libero […] nessuna liberazione anticipata, nessun rapporto disciplinare, ma solo proroghe da sei mesi in su». E ancora: «Ci sono persone all’interno che sono entrate per sei mesi e, avendo l’unica colpa di non avere una dimora e una famiglia, si trovano internate da 4/5 anni […] l’Italia è l’unico Paese in tutta Europa che adotta le misure di sicurezza».
Il lavoro perduto – «Avevo ripreso in mano la mia vita, ottenendo con sacrificio un ottimo lavoro […] che oggi mi hanno fatto perdere senza il minimo scrupolo: mi riferisco alla magistratura di sorveglianza […] mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro, riproponendomi soltanto la realtà repressiva carceraria».
“Non è evasione” – «Il disagio che ho visto lì dentro credo di non averlo mai conosciuto e sono scappato, anzi, mi sono allontanato. Non è un’evasione e non vi è una realtà penale perseguibile, ma è solo un semplice allontanamento». Conclude: «Mi ritengo amareggiato perché vorrà dire che qualsiasi pena uno possa pagare in questo Paese, comunque tu rimarrai sempre la persona responsabile del gesto commesso».

