È una sentenza che segna un passaggio significativo in materia di maltrattamenti familiari, quella emessa dal Tribunale di Napoli Nord nei confronti di G.B., imprenditore edile dell’agro aversano, condannato a 3 anni e 3 mesi di reclusione, alla interdizione per 5 anni dalla responsabilità genitoriale e al risarcimento dei danni nei confronti della vittima, sua ex moglie, costituitasi parte civile e assistita dall’avvocato penalista Roberto Imperatore. Una condanna giunta nonostante l’imputato fosse incensurato e in assenza di violenze fisiche sistematiche. A inchiodarlo sono state, invece, le continue condotte vessatorie di natura morale, psicologica ed economica, reiterate anche dopo la fine della convivenza.
La donna, cinquantenne, ha trovato il coraggio di denunciare nel 2023, dopo oltre venticinque anni di soprusi. Secondo la ricostruzione accolta dal giudice Marina Napolitano, l’uomo aveva instaurato un rapporto coniugale gravemente asimmetrico, in cui la moglie era diventata oggetto di umiliazioni, ricatti, minacce e controllo totale, fino alla violazione della privacy tramite l’installazione di microspie nell’auto. “Se ti vedo con un altro uomo ti butterò l’acido in faccia”, “Se ti sfregiassi questo bel visino con un coltellino…”, “Ti mando a fare la put***a”, “Ti sei sempre prostituita da quando sei nata”, “Tu non vali niente, tu vali zero”: frasi che, unite a comportamenti manipolatori e coercitivi, hanno generato nella vittima un perdurante stato di ansia, paura e prostrazione.
Dalla documentazione acquisita in giudizio e dalle testimonianze, tra cui quella del figlio della coppia, è emerso un quadro di vessazioni continue: offese gravi, pedinamenti, illecite intercettazioni ambientali e tentativi di controllo economico e affettivo anche attraverso il ricatto sui figli. Gli episodi non si sono interrotti neanche dopo la separazione di fatto, con l’imputato che ha continuato a esercitare pressioni e minacce “da remoto”.
La violenza fisica, tuttavia, non è stata completamente assente. Dalla ricostruzione è emerso come la donna sia stata percossa in varie occasioni e abbia subito lesioni in almeno due circostanze: in particolare, nel marzo 2022, quando l’uomo, si legge nella memoria difensiva, la “colpiva con un pugno al volto, rompendole il labbro inferiore”, e in un’altra occasione le “stringeva tanto forte la mano da procurarle un sanguinamento” e dandole anche “pizzichi sulla pancia”.
Fondamentale per l’impianto accusatorio, il contributo della dottoressa Apollonia Reale, esperta di violenza di genere, che ha supportato tecnicamente la difesa della parte civile, consentendo di documentare il danno psicologico con certificazioni mediche e analisi forensi. Nel commentare la sentenza, l’avvocato Imperatore ritiene “inammissibile una interpretazione limitativa e ridimensionante del reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi (di cui all’articolo 572 del Codice Penale), confinato ai soli casi in cui vi siano continuative forme di violenza fisica, omettendo la valutazione di condotte ancor più pregnanti, ma meno visibili, come la violenza psicologica o la violenza economica”.
La sentenza – che potrà essere impugnata dall’imputato, difeso dall’avvocato Giuseppe Stellato – si fonda su una visione moderna e costituzionalmente orientata del reato, che considera il maltrattamento anche come esito di uno squilibrio relazionale in cui la vittima viene privata della propria autonomia decisionale e della dignità personale. “Qualificare minacce, ricatti, pedinamenti e controllo della libertà come semplici conflitti coniugali – ha concluso l’avvocato Imperatore – non solo deforma i dati oggettivi ma viola i principi costituzionali sanciti agli articoli 3 e 29”. Un pronunciamento destinato a fare giurisprudenza, non solo per la condanna inflitta, ma per l’affermazione del principio che la violenza domestica può colpire anche senza lasciare lividi visibili.