Pedofilia, prete condannato dimesso dallo stato clericale

di Antonio Taglialatela

Aversa – Il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, comunica le “dimissioni dallo stato clericale” di don Marco Cerullo, sacerdote condannato nel 2010 in Cassazione a sei anni e otto mesi di reclusione per violenza sessuale a danno di minori. Il provvedimento è stato emesso dal Vaticano.

A renderlo noto è l’avvocato Sergio Cavaliere di Casal di Principe, che ha assistito la vittima e i suoi familiari: “Nel corso della serie di iniziative telematiche promosse dalla diocesi di Aversa su Facebook per comunicare con i fedeli, su mia precisa domanda riguardante lo status del sacerdote, incardinato nella diocesi di Aversa, condannato per pedofilia in Cassazione a 6 anni e 8 mesi su un bimbo di 12 anni, da me assistito, il vescovo Spinillo ci ha risposto in privato che don Cerullo è stato dimesso dallo stato clericale”, fa sapere il legale.

Il vescovo ha precisato che si è trovato a dover gestire la pesante eredità lasciatagli dal predecessore e si è augurato che sia la vittima che don Marco possano ritrovare la serenità.

Su richiesta dell’avvocato Cavaliere di avere le documentazione relativa al caso, monsignor Spinillo ha invitato a presentarla per iscritto alla Diocesi, cosa a cui ha già provveduto il legale difensore, in attesa di ricevere gli atti dalla Congregazione per la dottrina della fede, competente in materia di abusi sessuali su minori.

Il caso – Cerullo, ex viceparroco a Casal di Principe e insegnante di religione a Villa Literno, fu arrestato in flagranza dai carabinieri il 19 dicembre 2007, in campagna, mentre violentava un suo alunno di 11 anni. Alla vista dei militari dell’Arma, il prete tentava una precipitosa fuga in auto, interrotta dall’arresto. La vittima raccontò che don Marco lo aveva allontanato dalla scuola con la scusa di comprare i colori del presepe. Aggiunse che già altre volte aveva abusato di lui, anche a casa del bimbo. Nell’immediatezza l’allora vescovo di Aversa, monsignor Mario Milano, dichiarò che preferiva aspettare i tempi della giustizia”. Dopo tre anni, la settima sezione penale della Cassazione confermò la condanna.

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