All’alba, tra campagne e magazzini, si è chiuso il cerchio su un sistema che per mesi ha ridotto decine di lavoratori a forza lavoro senza diritti. I carabinieri del Reparto Operativo del comando per la Tutela del Lavoro, con l’ausilio del Gruppo di Aversa, hanno dato esecuzione a un’ordinanza cautelare personale emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord, su richiesta della Procura.
Le misure cautelari – Disposti gli arresti domiciliari per un imprenditore agricolo, attivo nella coltivazione, raccolta e rivendita di ortaggi nell’area aversana, per la moglie e per un cittadino indiano. Per un secondo cittadino indiano è stato invece applicato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Al momento, l’imprenditore e la moglie risultano sottoposti alla misura cautelare, mentre i due indagati di nazionalità indiana sono irreperibili. A vario titolo, gli indagati sono gravemente indiziati dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravato e di violenza e minaccia per costringere a commettere un reato.
Lo sfruttamento nei campi – Le indagini, coordinate dalla Procura di Napoli Nord, hanno ricostruito un grave quadro indiziario: nel periodo tra febbraio e luglio 2024 sarebbero stati reclutati tra quaranta e ottanta lavoratori, prevalentemente di origine indiana e irregolari sul territorio nazionale, impiegati come braccianti agricoli su terreni tra le province di Napoli e Caserta. I lavoratori venivano trasportati sui luoghi di lavoro a bordo di furgoni adibiti al trasporto merci, ammassati nei vani di carico senza condizioni di sicurezza.
Minacce, ritmi estenuanti e paghe da fame – I braccianti sarebbero stati costantemente sorvegliati e minacciati: chi rallentava o danneggiava i prodotti rischiava di non essere pagato o di non essere più ingaggiato. I turni arrivavano fino a 10-14 ore al giorno, per compensi di circa 2,70 euro l’ora, senza riposo settimanale e senza possibilità di assentarsi per malattia. La pausa per il pranzo, di pochi minuti, era concessa solo al raggiungimento della quota di raccolta: “senza la quota non si mangia”.
Lavoro sotto la pioggia e pesticidi – Gli operai sarebbero stati costretti a lavorare anche in condizioni atmosferiche avverse, riparandosi con semplici buste di plastica, senza alcun rispetto delle norme su sicurezza e igiene. Non solo: venivano obbligati a restare nei campi anche durante lo spargimento di pesticidi nocivi per la salute. Chi si allontanava per malore veniva minacciato di non essere più fatto lavorare.
Alloggi fatiscenti e intimidazioni – Al termine delle giornate nei campi, i lavoratori sarebbero stati costretti a vivere in alloggi fatiscenti. Secondo quanto emerso, sarebbero state inoltre rivolte minacce di gravi violenze fisiche per impedire qualsiasi collaborazione con l’autorità giudiziaria o con le forze dell’ordine.
Sequestri e profitti – Contestualmente è stato eseguito un decreto di sequestro preventivo, disposto dal gip: sottratti quattro furgoni utilizzati per il trasporto della manodopera e sequestrata la somma complessiva di 542.934,56 euro, ritenuta profitto del reato, rinvenuta nel magazzino dell’imprenditore agricolo indagato.
Il valore dell’operazione – L’intervento si inserisce nel più ampio quadro di contrasto al dilagante fenomeno dello sfruttamento lavorativo nell’agro aversano. Nel corso delle indagini sono stati effettuati controlli e ispezioni con il contributo dei militari del Nucleo Operativo del Gruppo carabinieri per la Tutela del Lavoro di Napoli, del personale dell’Ispettorato Area Metropolitana di Napoli e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, nell’ambito del progetto A.L.T Caporalato D.U.E., finalizzato alla tutela dei lavoratori migranti vulnerabili.

